“Il borgo dei segreti intrecciati”, il nuovo giallo di Simona Soldano

di Redazione Il Libraio | 24.06.2023

Martina non si sente a suo agio in mezzo alla gente. Per molti anni ha provato a socializzare, rimbalzando tra aperitivi e mostre senza alcun apprezzabile miglioramento. Persino dopo essere tornata a Roma in seguito a una disavventura su un’isola quasi deserta, sente il bisogno di un luogo appartato, dove poter stare in pace con i propri pensieri.

Si apre così Il borgo dei segreti intrecciati (Garzanti), opera con cui tornano in libreria la scrittrice romana Simona Soldano e la protagonista del suo libro precedente, ovvero il romanzo d’esordio Mare calmo, isolati misteri (Garzanti).

In questa nuova storia ritroviamo infatti la misantropa Martina che, suo malgrado, si trova al centro di misteriosi accadimenti quando sceglie di ritirarsi a Borgo Grifone, un minuscolo paese in aperta campagna.

Simona Soldano
In foto: Simona Soldano

Immersa nel verde, la donna pensa infatti di poter ritrovare la serenità e l’ispirazione per dipingere che, quando era in città, aveva perduto. E a dirla tutta, spera anche di incontrare il famoso pittore Fiorenzini, un grande maestro originario di Borgo che spesso tiene corsi nell’antica villa di proprietà della contessa che le affitta la casa.

Un luogo ameno, anche se avrebbe bisogno di qualche restauro, al centro di un enorme parco con un labirinto di siepi altissime.

È lì che viene ritrovato il cadavere di Sergio Miniere, un famoso critico d’arte che Martina ha avuto il dispiacere di conoscere. Tutti pensano che si sia trattato di un incidente, ma Martina non ne è certa: qualcosa, l’istinto forse, le suggerisce che non è così.

Per questo, con l’aiuto degli amici che fedelmente continuano a leggere il suo blog, comincia a indagare. Quello che non sa è che tutti gli inquilini della villa hanno qualcosa da nascondere. E che la verità è sepolta sotto montagne di bugie

Copertina del libro Il borgo dei segreti intrecciati di Simona Soldano

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un capitolo del romanzo:

«Si resiste», fa l’uomo, mentre uno dei suoi occhi punta all’angolo in alto alla mia sinistra e l’altro invece a destra, come fossero quelli di un camaleonte.

Annuisco indecisa su quale dei due sguardi intercettare e mi sposto di un passo nel goffo tentativo di farmi notare, ma lui muove la testa, vanificando la mia manovra.

Per entrare nell’emporio, ho varcato una tendina di corde di plastica scolorite, in origine forse di un rosso acceso, ormai dal medesimo aspetto smorto che si ottiene mischiando tutti i pigmenti sulla tavolozza, nella speranza di sperimentare sfumature sorprendenti, quando invece ne risulta un deludente grigio spento. Superare quella tendina è stato come attraversare un varco temporale. Improvvisamente mi sono ritrovata in un’altra epoca, decine di anni fa. Un’ampia stanza alle cui pareti sono affissi poster pubblicitari e locandine del secolo scorso, divisa in due in base a non so quale criterio: da una parte sigarette, giornali, riviste, qualche cartolina ormai stinta, pile di vari formati, qualche vecchia confezione di giocattoli, candele, oggetti che sembrano in vendita da tempo immemore e chissà perché prodotti dimagranti, e dall’altra scaffali e un bancone alimentare dietro al quale sono esposti alcuni salumi e una crostata di un colore indescrivibile. Al centro, al posto d’onore, è appeso un vecchio telefono a gettoni. D’impulso vorrei avvicinarmi, inserire la moneta, ascoltare il suono metallico dei suoi rimbalzi all’interno dell’apparecchio e ruotare il disco per comporre un numero. Allora, telefonare era agire sulla realtà materiale, toccandola, facendo movimenti specifici collegati esclusivamente a quell’azione.

Avevi il tempo di ripensarci, penso nostalgica. Già solo la difficoltà di ricordare i numeri a memoria era un ottimo pretesto per evitare il contatto. Oggi, basta un gesto involontario o lo sfregamento dello schermo del cellulare nella tasca dei pantaloni e rischi di chiamare l’ultima persona che vorresti della tua rubrica. Più avanza la tecnologia più mi sembra che abbia connotati diabolici. Ho il sospetto che il prezzo per tutta questa libertà concessa dal suo progresso sia quello di renderci schiavi di cose di cui nemmeno conoscevamo l’esistenza.

Una vecchina è mummificata davanti all’unica finestra che dà sulla via, assorta nei propri pensieri o, altrimenti, addormentata. Non posso vedere il suo viso ma solo la nuca avvolta da una nuvola di candidi ricci. È talmente immobile e così ben mimetizzata fra le numerose bambole che sono raggruppate intorno a lei, come esposte in una inquietante vetrina, che mi sono accorta della sua presenza solo poco fa, quando una vocina flebile ha biascicato anche lei il motto di questa famiglia di camaleonti. Non ha mosso la testa neanche quando sono entrata, ma è rimasta girata verso l’esterno, a fare la guardia alla strada.

L’uomo è in attesa, in silenzio. Muove le labbra all’infuori e poi le stira tirandole dagli angoli della bocca, come volesse esercitarle, mantenerle attive per future e più impegnative conversazioni.

«Latte ne avete?»

«No, quello viene solo il giovedì», risponde.

«Pane?»

«Il martedì.»

Sono preoccupata: sintonizzare la mia congenita anarchia con la rigida e scarna programmazione dell’emporio potrebbe rivelarsi un’impresa. Non mi devo scoraggiare, troverò una soluzione o lei troverà me. L’importante è arrangiare un pasto commestibile.

Un paio di vespe svolazzano intorno al bancone. Penso che rinuncerò ai prodotti freschi e mi butterò su quelli a lunga scadenza, con la speranza che non siano qui da prima dell’Avvento.

Afferro un barattolo di carciofini sott’olio, un pacco di pasta e quella che a detta dell’etichetta è una specialità gastronomica della zona e ha l’aspetto di un sugo pronto.

Per il pranzo sono a posto. Nel pomeriggio farò una spesa abbondante in uno dei supermercati che ho visto sulla strada prima dello svincolo per il borgo.

«Si resiste», ripete l’uomo porgendomi il resto e facendo spallucce, come a giustificare la propria esistenza in questo luogo.

«…resiste», gli fa eco la vecchia.

Ho soprannominato il proprietario dell’emporio “il signor Camaleonte”, per l’estremo disaccordo dei suoi occhi che, fieri della propria reciproca indipendenza, puntano in direzioni opposte. Non fa che ripetere che resiste, anche se ancora non ho ben capito a che cosa. Avrei tanto voluto conoscerlo ieri. Penso che quel suo motto mi avrebbe aiutata ad affrontare la notte. È stata terribilmente lunga e spaventosa, anche a causa delle allucinazioni uditive e visive che ho avuto, di certo a causa dello stomaco vuoto.
Temo tuttavia che il suo negozio, sebbene offra una grande varietà di merci, non sia sufficiente a colmare le mie necessità di generi alimentari già pronti per il consumo. Dovrò trovare un’altra soluzione. In fondo, sapete una cosa? Questo borgo, così immerso nella natura, è in realtà a portata di mano dalla civiltà. In trenta minuti non solo puoi raggiungere altri paesi più o meno grandi, ma anche centri commerciali forniti di ogni genere superfluo ormai indispensabile offerto dal mercato. Basta affacciarsi sulla statale per vedere sfrecciare in giro furgoncini di consegne a domicilio e corrieri espressi. A chiunque darebbe una certa sicurezza sentirsi ancorato alla rete tentacolare della globalizzazione. A me no. Di solito mi trasmette una leggera ansia. Siamo tutti così facilmente raggiungibili, e ogni luogo è talmente fruibile e vicino che sembra impossibile riuscire ad allontanarsi dalla società e isolarsi dagli altri. Persino spostarsi ha perso significato. Non fai in tempo a dire: «eccomi in viaggio» che sei già arrivato a destinazione.

Postato 7 maggio 2018, ore 10:07

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Visualizza commenti (9):

RomanticaVera, 7 maggio 2018, ore 10:12
Martina, sei tu?

Risposta da senzamusa, 7 maggio 2018, ore 10:16
Ciao RomanticaVera! Che bello ritrovarti! Sì, sono io. Ma shh! Per favore, non chiamarmi con il mio nome, usa il nick, ti dispiace?

RomanticaVera, 7 maggio 2018, ore 10:25
Come desideri, senzamusa. Capisco benissimo, sai? Anche io preferisco di gran lunga il mio avatar, credo che aumenti notevolmente il mistero intorno a me e mi renda irresistibile. Non che ne abbia davvero bisogno, per la verità.

Risposta da senzamusa, 7 maggio 2018, ore 10:27
Non saprei, RomanticaVera. Come hai fatto a trovarmi?

RomanticaVera, 7 maggio 2018, ore 10:29
Che domande! Lo sai che gironzolo sempre da un blog all’altro. Quello che hai aperto è nuovo, vero? Che fine ha fatto quello del faro? Non sono più riuscita a trovarlo.

Risposta da senzamusa, 7 maggio 2018, ore 10:31
Sì, questo è nuovo. L’altro per sicurezza l’ho chiuso. Temevo che gli inquirenti potessero scovarci falle e incongruenze nella mia testimonianza.

RomanticaVera, 7 maggio 2018, ore 10:33
Ah, è vero, l’inchiesta. Come sei stata brava a destreggiarti con la legge! Per fortuna è tutto finito, no? Dopo la terribile esperienza che hai passato, immagino quanto tu abbia bisogno di fuggire da quei brutti e tormentosi ricordi, come tu abbia sentito l’esigenza di rifugiarti in un luogo totalmente diverso, ma egualmente suggestivo, per dimenticare, per risanare il tuo animo ferito.

Risposta da senzamusa, 7 maggio 2018, ore 10:36
Grazie. In parte è così. Forse. Non lo so di preciso. Sono qui per avere delle risposte.

RomanticaVera, 7 maggio 2018, ore 10:39
Ma certo, senzamusa! Vale per ognuno di noi. Tutti cerchiamo risposte alle nostre domande.

© 2023, Garzanti S.r.l., Milano
Gruppo editoriale Mauri Spagnol

(continua in libreria…)

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Fonte: www.illibraio.it