“Ogni piccola cosa interrotta”: la forza dell’imperfezione nel romanzo di Silvia Celani

di Redazione Il Libraio | 01.06.2019

Vittoria ha una vita perfetta. Le sue molteplici maschere la fanno sentire al sicuro, intoccabile. Brava figlia, brava amica, brava studentessa. Ciò che la disturba è solo un senso di apnea, che quando arriva le rende tutto estraneo, sconosciuto.

Silvia Celani al suo esordio con Ogni piccola cosa interrotta (Garzanti), parla di imperfezioni, fragilità e amore. L’autrice, nata a Roma, racconta di cose interrotte che tracciano la strada di ognuno.

Vittoria, la sua protagonista, ha una grande casa, è circondata da tanti amici, è sempre tra le persone e le parole. Nonostante questo, non mente a se stessa: lei è sola, questa è la realtà. Sua madre finge di non avere una figlia, suo padre, invece, è morto quando era una bambina e non lo ricorda.

Nulla potrebbe comunque andare storto nel suo mondo, a suo parere. Fino al giorno in cui ritrova i pezzi di un vecchio carillon di ceramica, spezzato proprio come lei. Vittoria decide di riassembrarlo. Così inizia il viaggio della ventunenne tra i ricordi, tornando a quando il padre le cantava una ninnananna, arrivando a tutti quei momenti che era riuscita a seppellire per sempre nel suo cuore. Vittoria scopre come le cose rotte, si possano aggiustare e diventare preziose.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del libro:

Il corridoio è buio e sembra infinito. Mentre spinge gli occhi in quell’oscurità, sente i piedi gelare a contatto con il marmo.

Gli scricchiolii, i fruscii e i sibili della casa addormentata le mettono i brividi. A quest’ora dovrebbe essere nel suo letto. “Se mi trova qui, la mamma si arrabbierà”, continua a dirsi, ma ogni volta che se lo ripete avverte un briciolo di coraggio in più che la sprona a proseguire.

Tasta il muro per accertarsi di procedere nella giusta direzione. Le manca poco per arrivare al piccolo oggetto che cerca.

Alla fine del corridoio c’è una curva che conduce nell’anticamera. Arrivata lì, scorge una lama di luce che filtra dalla porta finestra che dà sul giardino e crea una pozza di chiarore inatteso sul pavimento a scacchi bianchi e neri.

Ora lo vede. Il suo carillon. Una scatolina bombata di ceramica rosa. Gliel’ha regalato suo padre di ritorno da uno dei tanti viaggi, e a lei piace ascoltarne la delicata melodia, soprattutto quando lui non può rimanerle accanto.

È ancora dove sua madre l’ha sistemato quel pomeriggio, dopo averglielo sottratto per punizione, quando ha osato disturbarla mentre era chiusa nella stanza della pittura. «Dov’è papà?» le ha chiesto, perché ormai erano giorni che non lo vedeva.

Tra lui e lei c’è un patto: se non può essere la sua voce ad accompagnarla nel mondo dei sogni, allora sarà la melodia del carillon a sostituirla. Per questo è così importante riaverlo. Per questo né le punizioni di sua madre, né le ombre della notte possono tenerla lontana.

Nemmeno la mensola dove è riposto, che è troppo alta per lei.

Tende le braccia più che può, ma non riesce a raggiungerlo. Allora le viene un’idea: indietreggia di qualche passo e, presa la giusta rincorsa, prova a compiere un piccolo balzo. Quando al primo tentativo sfiora la fredda ceramica rosa con la punta delle dita, si convince che c’è quasi riuscita, invece il carillon comincia a traballare sull’orlo della mensola e, in un istante che un battito di ciglia non riuscirebbe a catturare, cade a terra. Il sonaglio al suo interno emette un verso stonato. Il materiale di cui è fatto manda un suono sordo, come un tonfo, che le fa inceppare il cuore e le blocca il respiro.

Sotto ai suoi piedi nudi adesso c’è un tappeto di cocci appuntiti: tutti ugualmente taglienti, tutti ugualmente pericolosi. Le basterebbe muoversi, per ferirsi. Ma non è questo a riempirle gli occhi di lacrime.

Il suo carillon non c’è più.

Un attimo prima si era illusa di poterlo stringere al petto e riportarlo nel suo rifugio di coperte, sotto il cuscino ancora caldo, per lasciarsi scivolare nel sonno cullata dalle sue note sottili, invece ora è solo un mucchietto di frammenti sul pavimento.

Si accuccia a terra e stringe le gambe al petto.

Dopo poco, sente dei passi dietro di lei. Non si volta per vedere chi è, ma quando qualcuno si siede al suo fianco e con una mano le cinge le spalle, riconosce il suo profumo.

«Perché sei qui al buio?» le chiede il suo papà.

Non risponde. Non si volta. Ha paura che sia solo un’illusione, l’ennesimo scherzo crudele dell’immaginazione. Se ora aprisse bocca, scoppierebbe a piangere, e non vuole.

«Sei triste per il tuo carillon?» Ancora lui, suo padre.

Le dita stringono un poco sulla sua spalla, quanto basta a farle capire che è tutto vero, che il papà è tornato. Solo a quel punto annuisce, mentre una lacrima le sfugge dagli occhi e le riga il viso. «Si è rotto, papà. Si è rotto ed è tutta colpa mia. Tu non c’eri e io mi sentivo così sola. Ti avevo promesso di prendermene cura, invece guarda cosa ho fatto. Si è rotto perché non l’ho protetto nel modo giusto…»

Il papà la abbraccia. È caldo e sa di buono. «Oh, tesoro mio, sono sicuro che te ne sei presa cura. Anche se cerchiamo di proteggere ciò che amiamo con tutti noi stessi, non sempre siamo in grado di farlo, sai?» La mano di suo padre lascia la sua spalla per accarezzarle lieve i capelli. «Ma niente finisce. Anche una cosa rotta può tornare a vivere.»

Con il pugnetto chiuso, cancella dalla guancia il solco umido che la lacrima ha lasciato e solleva lo sguardo su di lui. «Davvero, papà?» gli domanda in un sussurro.

Lui le bacia la punta del naso. «Sì, davvero, piccola mia.»

Poi si alza e si protende verso il basso, invitandola a saltargli in braccio.

Ora che è accoccolata contro il suo petto non si sente più tanto triste.

«Domani ti mostrerò come far rinascere il tuo bel carillon», le assicura bisbigliandole quella promessa nell’incavo del collo. «Però, dovrai prima promettermi una cosa.»

Lei si divincola dall’abbraccio e lo guarda negli occhi. «Che cosa, papà?»

«Che non nasconderai mai le tue ferite, piccola mia. Perché ogni ferita guarita, ogni cosa spezzata, interrotta e poi aggiustata è più preziosa dell’oro.»

(Continua in libreria…)

 

Fonte: www.illibraio.it