Pesce d’aprile letterario…

di Redazione Il Libraio | 01.04.2015

di Andrea Vitali*

La sera del 1° aprile 2015 stavo rientrando a casa in treno. Era tardi, c’erano pochissimi viaggiatori, un sacco di posto. Quando, a una stazione intermedia, un uomo salì e venne a sedersi proprio di fronte a me, compresi al volo che di lì a poco avrebbe voluto attaccare bottone. L’idea non mi piaceva e quindi allestii subito contromisure per rintuzzare il suo più che probabile attacco. Dalla mia sacca da viaggio presi un libro che peraltro avevo già letto e me lo misi sotto gli occhi. È noto peraltro che una persona che legge può essere interrotta o disturbata in piena tranquillità, perché l’attività della lettura viene perlopiù considerata superflua.
«Cosa fa di bello?» mi chiese infatti lo sconosciuto.
Lo guardai volendo significare che era evidente.
Poi lo specificai.
«Leggo.»
In risposta quello assunse un’espressione soddisfatta.
«E cosa legge di bello?» proseguì.
«Un libro», risposi, alzando il volume che avevo in mano.
«Un libro, quindi», fece lui.
«Certo», feci io.
Mi stavo innervosendo. Meditai di cambiare posto. Me lo impedì qualcosa, forse la buona educazione. Forse il pensiero che quello mi avrebbe seguito. O di avere a che fare con uno squilibrato.
«Ed è interessante?» mi chiese ancora.
«Lo leggerei se no?» ribattei.
«Me lo consiglierebbe?» proseguì lo sconosciuto.
Glielo avrei regalato se ciò l’avesse zittito.
«Dipende dai suoi gusti», risposi.
«Certo», fece lui.
Poi si lasciò andare contro lo schienale e chiuse gli occhi.
Che gli fosse venuta una botta di sonno?
Senza aprire gli occhi, muovendo appena le labbra disse:
«Mi vuole prendere in giro?».
Ecco, pensai, la follia dello sconosciuto sta per rivelarsi. Guardai verso il corridoio cercando di vedere tracce di un controllore.
Niente da fare.
«No», risposi dopo qualche secondo.
«Come no?» fece lui.
Per quanto estraneo a quelle cose, aggiunse, sapeva bene che la giornata che stava finendo era dedicata a scherzi e burle. Avendomi visto con un libro in mano, pensava che io fossi estraneo a certe lusinghe o perlomeno le avessi superate.
«Mi rendo conto invece che non è così», concluse.
Il tono era freddo e il treno stava entrando in una galleria.
«Si sbaglia», dissi alzando la voce per superare lo stridio dei freni.
Non ci voleva proprio, ma il treno si stava fermando dentro la galleria.
«Non neghi», disse lui con una voce conciliante.
Poi aprì gli occhi, allungò una mano verso di me, afferrò il libro, lo capovolse e me lo rimise in mano.
«Ecco», disse, «è in questo verso che si leggono i libri.»
Quello almeno, senza dubbio, affermò.
Ne era certo perché l’aveva scritto lui.

ruga
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Fonte: www.illibraio.it