Thriller, dal Giappone l’erede di Michael Crichton?

di Redazione Il Libraio | 03.07.2015

Nello Studio Ovale la luce attraversa a malapena i vetri alle spalle dell’uomo seduto alla scrivania, il capo chino. Il presidente Burns deve fronteggiare la più grave crisi nella storia degli Stati Uniti d’America. A diecimila chilometri di distanza, nel profondo della giungla congolese, un antropologo tiene per mano la causa di quella crisi. È solo un bambino. Si chiama Akili. Ha tre anni. Akili è una forma di vita evoluta con un’intelligenza di gran lunga superiore a quella dell’Homo sapiens. È il primo della sua specie e può rappresentare il futuro della razza umana. Ma rischia di essere l’ultimo. Le capacità di analisi della sua mente gli permettono di decifrare ogni protocollo di comunicazione, di prevedere ogni operazione militare, di vanificare qualsiasi strategia. Per questo è un pericolo, e deve essere eliminato. La delicata missione, nome in codice «Nemesis», viene affidata a un team di mercenari, capeggiati dall’ex operativo delle forze speciali Jonathan Yaeger. Eppure quando quest’ultimo giunge in Congo, ed entra per la prima volta in contatto con il proprio obiettivo, capisce che forse gli ordini che ha ricevuto questa volta non devono essere eseguiti. Che quel bambino può rappresentare non un pericolo ma la speranza in un mondo, in un’umanità migliori. Che proprio da Akili può venire la cura per la rara patologia che ha colpito la persona che Jonathan ama di più. Ma schierarsi in difesa di Akili è pericoloso. Perché significa inimicarsi la maggiore potenza del pianeta…

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Arriva nelle librerie italiane per Garzanti Il protocollo ombra, thriller d’esordio del giapponese Kazuaki Takano, sceneggiatore cinematografico classe ’64, già definito  l’erede di Michael Crichton

Su ilLibraio.it il prologo
(per gentile concessione di Garzanti)

 PROLOGO

In quel palazzo non si sentiva mai a casa, nonostante ci vivesse da anni. Non riusciva mai a dormire come si deve, lì: se andava bene aveva il sonno disturbato, e non era solo perché stava invecchiando. Quel mattino, dopo l’ennesima notte inquieta, Gregory S. Burns si riscosse al trillo della solita sveglia telefonica. Scambiò due chiacchiere con l’operatore ma restò sdraiato, godendosi quel breve e prezioso rinvio. Alla fine, controvoglia, si alzò dal letto, si stirò tendendo le braccia sopra la testa e fece un lungo sbadiglio. Entrò nel box doccia e per riscuotersi dal torpore si infilò sotto l’acqua fredda. Poi passò a indossare il completo preparatogli dalla moglie. In sala da pranzo, la moglie e le due figlie stavano già facendo colazione. Le ragazze, appena sveglie e di cattivo umore, si lamentavano della scuola. Lui le ascoltava a metà, facendo grugniti d’assenso al momento giusto, per far capire che non le stava ignorando del tutto. Per fortuna la moglie aveva smesso di lanciargli frecciatine tutte le volte in cui lui riservava scarsa attenzione alla famiglia, una piccola concessione che si era conquistato dopo una lunga guerra. Casa e lavoro erano collegati: bastava uscire in corridoio per ritrovarsi in un luogo pubblico. Afferrò la ventiquattrore di quasi venti chili posata ai suoi piedi e uscì dalla stanza. La valigetta, come si poteva dedurre dall’infausto nomignolo di «Nuclear Football», conteneva il pulsante in grado di distruggere il genere umano: il congegno di cui Burns avrebbe avuto bisogno per ordinare un attacco nucleare. «Buongiorno, signor presidente.» Samuel Gibson, il capo delle operazioni navali, gli venne incontro. Godeva del massimo livello di autorizzazione di sicurezza: «Yankee White». «Buongiorno, Sam.» Gibson gli prese la valigetta e, facendo scattare una manetta al proprio polso, vi si incatenò. Burns e Gibson scesero al piano inferiore, dove furono accolti dagli agenti dei servizi di sicurezza, e poi si avviarono insieme verso l’ala ovest. Durante il tragitto, un funzionario della National Security Agency li raggiunse e consegnò a Burns una tessera di plastica dal nome in codice di «Biscuit»: conteneva una serie di cifre aleatorie che costituivano il codice giornaliero per il lancio delle testate nucleari. Digitando quelle cifre sulla tastiera della Nuclear Football, avrebbe autenticato qualsiasi ordine di attacco. Burns infilò la tessera nel portafogli, e il portafogli nella tasca interna della giacca. Lo Studio Ovale si affacciava sul Giardino delle rose. Burns attese che lo staff si riunisse per il briefing quotidiano. Una volta ricevuta l’autorizzazione, fecero il loro ingresso il vicepresidente, il capo di gabinetto della Casa Bianca, il consigliere per la sicurezza nazionale, il direttore dell’intelligence nazionale e il direttore della CIA. Si accomodarono sui divani, scambiandosi saluti, e Burns notò che c’era una persona in più rispetto al solito, un uomo di mezza età seduto in fondo alla sala: era il dottor Melvin Gardner, suo consigliere scientifico e tecnologico. Evidentemente a disagio, teneva le spalle incurvate. Dimesso e sobrio all’aspetto, con due occhi geniali che brillavano sotto la chioma argentea, pareva una presenza incongrua in mezzo a quel gruppo di persone che comprendeva l’uomo più potente del mondo. «Buongiorno, dottor Gardner», disse sottovoce Burns. «Buongiorno, signor presidente.» Il sorriso di Gardner attenuò leggermente la tensione che si respirava nella stanza. Fra tutti i presenti, era l’unico ad avere il dono inestimabile di apparire innocuo. Ingenuo, persino. «È stato il signor Watkins a chiedermi di venire», spiegò Gardner. Burns diede un’occhiata a Charles Watkins, il direttore dell’intelligence nazionale. «Abbiamo bisogno del consiglio del dottor Gardner», disse Watkins. Burns annuì, attento a non lasciar trapelare il proprio disappunto. Prima di chiamare Gardner, Watkins avrebbe dovuto chiedere il suo permesso. La posizione di direttore dell’intelligence nazionale era di recente istituzione ed era stata assegnata da poco a quell’uomo, che continuava a irritare Burns assumendosi prerogative che non aveva. “Be’, alla fine scopriremo perché Gardner è stato convocato”, pensò Burns, ricomponendosi. Negli ultimi anni aveva fatto enormi forzi per controllare i suoi improvvisi scoppi d’ira. «Signore, il rapporto quotidiano dell’intelligence», disse Watkins, estraendo alcuni documenti da una cartelletta di pelle. Era un resoconto di tutte le attività di intelligence svolte nel corso delle precedenti ventiquattro ore. I primi due punti riguardavano le guerre avviate da Burns in Medio Oriente. I conflitti in Iraq e Afghanistan non stavano andando bene: in Iraq la sicurezza si stava deteriorando, mentre in Afghanistan le cellule terroristiche erano ancora in piena attività, e le perdite tra i soldati statunitensi lievitavano. Più aumentavano i caduti, più diminuiva la popolarità del presidente. Burns si pentiva di aver accolto senza obiezioni il consiglio del segretario della Difesa, che aveva proposto di dispiegare solo un quinto delle truppe di terra richieste dal capo di stato maggiore dell’esercito. Centomila soldati erano bastati a rovesciare il dittatore di Baghdad e ad assumere il controllo del paese, ma dopo essere diventati forza d’occupazione gli americani non riuscivano più a ristabilire l’ordine. Il terzo punto all’ordine del giorno era ancora più spiacevole. La CIA sospettava che all’interno del proprio personale paramilitare in Medio Oriente ci fossero delle talpe. Il direttore della CIA, Robert Holland, chiese la parola. «Si stanno verificando fughe di informazioni senza precedenti. Se i nostri sospetti sono fondati, il nostro indiziato sta passando informazioni non a un paese nemico, ma a un’organizzazione umanitaria.» «Un’organizzazione non governativa?» «Esatto. Sta fornendo notizie sul nostro programma di extraordinary renditions.» Burns ascoltava imbronciato. «Prima di riparlarne, interpelliamo il Consiglio presidenziale.» «Certamente», disse Holland. Il quarto punto riguardava il leader di un paese della coalizione che soffriva di depressione e non era in grado di assolvere i propri compiti. Prima o poi ci sarebbe stato un cambio della guardia, che però non avrebbe compromesso le relazioni amichevoli con gli Stati Uniti. Voltarono pagina e passarono al quinto e al sesto punto del rapporto e, mentre il presidente ascoltava le spiegazioni dell’analista, giunsero infine all’ultima pagina così intitolata: Possibilità di estinzione del genere umano: comparsa una nuova forma di vita in Africa. Burns alzò gli occhi dalla propria cartelletta. «Che cos’è? Una sceneggiatura hollywoodiana?» Solo il capo di stato maggiore sorrise alla battuta del presidente. Gli altri rimasero in silenzio, incapaci di nascondere lo sconcerto. Burns guardò fisso il direttore dell’intelligence nazionale. Watkins, più anziano di lui, sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. «È un rapporto della National Security Agency», spiegò. Burns ricordò d’un tratto l’episodio di un virus letale che si era propagato a Reston, nei sobborghi di Washington. L’istituto di ricerca dell’esercito sulle malattie infettive e i Centers for Desease Control avevano unito le forze per contenere l’epidemia letale, una variante del virus Ebola. Doveva trattarsi di qualcosa di simile. Continuò a leggere. Una nuova forma di vita è comparsa nelle foreste pluviali della Repubblica Democratica del Congo. Se dovesse prendere piede, questa forma di vita non minaccerebbe solo gli Stati Uniti d’America, bensì determinerebbe l’estinzione dell’intero genere umano. La situazione è già stata descritta nel Rapporto Heisman, pubblicato dallo Schneider Institute nel 1975… Burns lesse attentamente la notizia e si appoggiò allo schienale del divano. Ecco perché era stato convocato il dottor Gardner. Non riuscì a trattenere una battuta sarcastica. «Sicuri che non hanno scambiato gli estremisti islamici per una nuova forma di vita?» Watkins rimase impassibile. «Sono informazioni affidabili. Le abbiamo sottoposte all’esame di specialisti che ritengono…» «Basta così», lo interruppe Burns. Si sentiva offeso da quel rapporto. Non solo dal suo contenuto, bensì dalla sua stessa esistenza, che non riusciva proprio a tollerare. «Vorrei sapere che cosa ha da dire in proposito il dottor Gardner.» I presenti si voltarono verso l’attempato scienziato, che li guardò con espressione esitante. Vedendo il presidente d’umore così cupo, si sorprese a balbettare: «Sin dalla seconda metà del XX secolo si prevedeva che potesse succedere una cosa simile. Il Rapporto Heisman a cui si accenna nella relazione dell’intelligence è stato scritto a seguito di un dibattito sull’argomento». La serietà della risposta colse Burns di sorpresa. Il parere dello scienziato sembrava andare oltre la capacità di comprensione di qualsiasi profano. Eppure Burns non riusciva a scrollarsi di dosso un profondo disagio. Una nuova forma di vita capace di condurre all’estinzione del genere umano? Nessuno con un po’ di buon senso poteva credere a una cosa simile. «E secondo lei le informazioni sono affidabili?» domandò Burns. «Non posso confutarle.» «Ho qui una copia del Rapporto Heisman», disse Watkins, estraendo un altro documento dalla propria cartelletta. «Ho evidenziato la sezione pertinente. La sezione 5.» Burns lesse il rapporto risalente a un quarto di secolo prima. Dopo aver atteso che finisse, Gardner spiegò: «Attualmente disponiamo di informazioni indirette. Nessuno, a parte la persona che ci ha inviato il rapporto, ha confermato l’esistenza di questa nuova forma di vita. Credo sarebbe opportuno mandare sul posto i nostri specialisti per verificare che cosa stia accadendo». «A questo punto non dovrebbe essere difficile», aggiunse Watkins. «E non sarebbe costoso: pochi milioni di dollari dovrebbero bastare. Solo che bisogna mantenere la massima segretezza.» «Ha in mente un piano?» domandò Burns. «Ho incaricato lo Schneider Institute di elaborare un piano di azione. Entro questo fine settimana dovrei avere la lista delle opzioni sulla scrivania.» Burns rifletté. Non vedeva nessun impedimento. Per il presidente di una nazione in guerra era opportuno affrontare qualsiasi problema esterno con la massima tempestività. E quella storia gli risultava particolarmente sgradevole. «Va bene. Mi sottoponga la lista delle opzioni non appena la riceve.» «Sì, signore.» Il briefing del mattino si concluse, ma le stesse questioni furono affrontate alla riunione delle nove. Il segretario della Difesa, Lattimer, liquidò in due minuti l’ultimo tema come «un problema biologico». «È una di quelle stupidaggini da affidare allo Schneider Institute», dichiarò sprezzante. Sollecitati dal presidente, chinarono il capo per la preghiera finale.

Al termine della riunione, un addetto della CIA entrò nella sala del consiglio di gabinetto e raccolse le copie del briefing quotidiano del presidente. Era tutto materiale top secret che veniva archiviato a Langley. Solo dieci persone al mondo sapevano di che cosa si era parlato in quella riunione della tarda estate del 2004.

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it