Sono passati anni, eppure non riesco a levarmi dalla testa la frase che Marcello mi disse poco prima di riattaccare – in gergo aeronautico, vuol dire dare tutto motore dopo essere atterrato per decollare di nuovo.
Marcello non era il mio istruttore, non avevamo mai volato insieme, e lo conoscevo come si conosce un compagno di bevute che capita fortuitamente accanto allo stesso bar. Ero alla mia nona ora di volo da allievo pilota, e alla prima toccata lui mi guardò da destra e scandì due parole, due ed esatte, un comando e un augurio, un messaggio e un istinto: “Andiamo via“.
Non me ne andai via subito. Aspettai un pensiero in più, forse due, che su una pista corta in erba vale troppo per poterlo fare, e reagii un istante prima che lui dovesse prendere i comandi. Quel pensiero era nitido allora come lo è adesso, ed è la realizzazione del parallelismo che c’è fra la scrittura e il volo. Con entrambe, per capirmi, per capire, vado via.
Quando presi il brevetto di volo – il giorno più bello della mia vita, anzi il secondo, il primo è quando è nato mio fratello –, mi ero lasciato da poco la maturità alle spalle. Lottavo con il ricordo di un esame segnato dalla pandemia e il terrore di perdere per sempre la compagna di banco di cui ero innamorato. Mentre studiavo, per avere un sottofondo di compagnia, ascoltavo gli sketch di un simpatico ventriloquo, Andrea Fratellini che in una sua vita passata era stato un pilota. A perdere lei invece non ero proprio pronto. In quei giorni, le gambe mi tremarono quando andai a darle un bacio e un bouquet di rose e tulipani dopo l’orale.

Quando presi il brevetto, i miei genitori si erano appena separati, e in quegli anni vidi cosa accade ai simboli quando smarriscono il senso per cui li abbiamo accolti nel mondo. Vi faccio un esempio. Mio padre, tabagista incallito, teneva maniacalmente le pipe allineate sul mobiletto di legno scuro vicino alla finestra. Un giorno ne smontò una e mi insegnò l’ordine e il nome dei pezzi, pur sapendo già bene che io non avrei mai fumato. Quegli oggetti, che un tempo avevano preso tanta vita, tutto d’un tratto prendevano solo polvere.
Guardando le pipe di mio padre, mi è venuto in mente di scrivere una storia che odorasse di fumo. Un fumo buono, pastoso, che si arrampicava nell’aria e diventava una nuvola. Di farla vivere a un ventriloquo, e di dargli la certezza che le persone amate non si perdono mai. Ma, soprattutto, volevo scrivere una storia del cielo, sul cielo, col cielo. Volevo una storia in cui tutto, per sempre, andasse via come avevo imparato a fare io. Volevo un volo, un tempo sospeso, un mondo a siluro in cui fosse lecito confondere reale e immaginifico.
Oggi, di ore di volo ne ho centinaia. Ho cambiato aeroplani e aeroporti. Ho incontrato pioggia e turbolenze. In questo senso, il volo mi ha insegnato a vivere più di quanto la vita mi abbia mai insegnato a volare. Forse è questo che volevo restasse di me: nel mio modo di vivere non c’è mai stato niente di convenzionale. Mi ha salvato solo l’invenzione. Sono ancora intero perché, dal giorno in cui ho visto una nuvola, non sono mai sceso dal cielo.
L’AUTORE E IL LIBRO – Matteo Porru, classe 2001, ha vinto nel 2019 la sezione Giovani del Premio Campiello, ed è editorialista per i quotidiani del gruppo SAE. Scrive inoltre per il cinema e per il teatro.
Con Garzanti ha pubblicato Il dolore crea l’inverno, e a fine gennaio torna con Il volo sopra l’oceano: se l’eterno ha un colore, è un tono di blu. Questo pensa Michele mentre l’aereo cerca il cielo e si solleva. Ha con sé solo un bagaglio leggero, ma in realtà è il più pesante che abbia mai avuto. Perché in quel biglietto di sola andata c’è tutto quello che lo ha portato fino a lì. Ha paura di volare, ma qualcuno gli ha detto che l’aria si storce come la vita e quella torsione non le dà un senso, né la rende peggiore….
Su quel volo incrocia lo sguardo del ragazzo seduto a fianco. E così, Michele e Jonathan iniziano a parlare riconoscendo qualcosa di sé nell’altro. C’è qualcosa, però, che Michele vorrebbe rivelare: il segreto che lo ha fatto salire su quell’areo e che rimanda a un incontro di molti anni prima.
E in occasione dell’uscita del nuovo romanzo, arriva su RaiPlay Matte (con la regia di Michele Garau), un docufilm sulla vita dell’autore, tra sogno e paura, cielo e terra. Un racconto intimo e corale, composto dalle voci di parenti e amici, medici e insegnanti, che descrive il ragazzo dietro ai premi, ma anche la speranza oltre il dolore e la malattia. “Intenso” e in grado di far “emergere l’importanza della volontà, delle relazioni familiari e umane”: così lo definisce Maurizio Ibriale, direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali. Mentre Porru commenta questo nuovo traguardo così: “È una festa, un onore. L’inizio di un’avventura”.
Fonte: www.illibraio.it