In questi ultimi anni, la scuola ha spesso ispirato storie che sono diventate bestseller, altre che ci hanno fatto sorridere e altre ancora commuovere. In particolare, il mondo dei supplenti offre molte avventure e disavventure che, soprattutto se viste dall’esterno, possono suscitare una sana risata, oltre che denunciare con una satira che non si fa mai caustica le pecche del sistema scolastico italiano.
A questo genere di romanzi appartiene La supplente (Garzanti), il fresco esordio narrativo di Cristina Frascà, insegnante di Lettere torinese che dichiara nella sua biografia sul risvolto di copertina di imparare molto dai suoi studenti. E in effetti anche la sua protagonista, Anna Tosetti, nel corso del suo primo intero anno di supplenza in un solo istituto avrà modo di crescere, come insegnante ma anche come persona.
Se nelle prime pagine del romanzo scopriamo, con grande verosimiglianza, l’ansia che coglie tutti i supplenti quando sono in attesa della tanto agognata chiamata, facciamo anche la conoscenza di Anna. La trentenne entra in scena nell’appartamentino torinese prima appartenuto ai nonni, dove arriva a fine mese grazie a qualche ripetizione di pianoforte e ai risparmi delle supplenze sporadiche. Anna deve fare i conti con la sua frustrazione da precaria cronica e con qualche chilo in più, che non riesce proprio a perdere. Anzi, semmai il cibo non salutare è il suo rifugio dove affogare le delusioni e la frustrazione per non aver realizzato i sogni della sua famiglia.
La chiamata per una supplenza annuale all’istituto alberghiero rompe letteralmente la routine pigra e sconsolata di Anna: una nuova scintilla si accende, anche se fin dai primissimi giorni la protagonista dovrà fare i conti con un ambiente che non conosce, le fantomatiche ore di potenziamento e una classe terza considerata da tutti scapestrata. Il docente di ruolo che Anna sostituisce definisce i ragazzi di quella classe un caso irrimediabile, ma lei non lesina entusiasmo e interesse per quegli studenti che spesso nascondono disagi personali e difficoltà di apprendimento, nonché problemi familiari, economici, socio-culturali.
Anna, che presto viene ribattezzata “la Tosa”, non riesce a starne fuori, né intende chiudere gli occhi davanti ad assenze prolungate, comportamenti strafottenti o pianti in classe. Qualche volta subirà le conseguenze delle sue “invasioni di campo”, ma solo così le sarà possibile stabilire un legame autentico con i ragazzi e interessarli alle sue discipline, che – persino a detta della preside – non sono effettivamente materie di indirizzo. Dopo poche decine di pagine, i ragazzi, rigidamente chiamati da tutti con il loro soprannome, diventano a dir poco caratterizzati, senza farsi caricature: Multicolor, Rimmel, Bruzzo, Magreb, Spino e gli altri si materializzano davanti a noi durante la lettura e vivacizzano mattinate scolastiche che non dimenticheremo facilmente.
Accanto alla vita scolastica, che viene scandita con tutti i suoi impegni burocratici e anche ludici (la gita susciterà momenti di terrore, suspense e molte risate), Cristina Frascà sceglie di raccontare anche quel che accade fuori da scuola. Infatti, proprio in concomitanza con l’incarico scolastico, Anna intraprende un percorso difficile di dieta da una specialista, con la speranza di imparare a curare di più il suo corpo: i chili di troppo sono sempre stati un cruccio per lei, che ha mortificato la sua femminilità e che si è chiusa in sé stessa, rinunciando a relazioni sentimentali.
Forse a spronare Anna ha avuto un ruolo non indifferente l’incontro con un avvenente dottore di origine russa, Sacha, che vive nel suo stesso palazzo. L’uomo, che l’ha colpita fin dal primo incontro, inizia a frequentare la casa di Anna per lezioni di italiano. In cambio, le insegna a giocare a scacchi. Qualche difficoltà linguistica e una distanza culturale che di tanto in tanto affiora non impediscono ai due di scoprire tanto l’uno dell’altra, e ad Anna di covare un sentimento nuovo, delicato e sincero, che non sa se ammettere a se stessa. Intanto, il gioco degli scacchi si fa metafora della vita: non per niente i capitoli iniziano con una citazione che molto spesso riguarda l’universo scacchistico. Già dopo poche lezioni Anna pensa che le mosse dei pezzi sulla scacchiera non siano solo frutto di strategia, ma anche di studio, dedizione, coraggio. Quel coraggio che lei non ha mai avuto, se non a scuola, dove effettivamente riesce a esprimersi al suo meglio, escludendo qualche scivolone diplomatico e un paio di esperimenti che denotano un po’ di inesperienza.
Anche la famiglia e gli amici entrano nel romanzo: qualcuno irrompe a gamba tesa, con vicende traumatiche che fanno vacillare l’equilibrio di Anna; altri sono una presenza costante, rassicurante e positiva, in grado di spronare la protagonista al cambiamento e a credere in sé.
Se nella prima parte del romanzo la narrazione è concentrata soprattutto sull’esperienza scolastica, poi la vicenda inizia a includere la vita privata di Anna, fino a renderla preponderante nella terza e ultima parte. La scuola resta, ma se all’inizio è il temporale che altera la quiete nella vita della supplente, poi si trasforma in quella presenza rassicurante su cui Anna può sempre contare. Almeno per un anno scolastico.
A collegare le diverse tematiche è l’ironia, vera cifra stilistica di questo romanzo. Leggera senza essere banale, divertente senza cadere nel rischio del sentito dire, La supplente è una commedia che si legge con piacere, anche grazie a una protagonista effervescente, molto umana e aperta al cambiamento, tenace e pronta a imparare, facendo i conti con chi è e con chi vorrebbe essere.
Fonte: www.illibraio.it