“Botte e risposte” nel nuovo libro del biblista Alberto Maggi

di Redazione Il Libraio | 12.07.2021

Come sanno bene i lettori de ilLibraio.it, sito di cui Alberto Maggi (in copertina, nella foto di Basso Cannarsa, ndr) è assiduo e apprezzato collaboratore: il biblista (frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme) intrattiene da anni un dialogo autentico e sincero con decine di migliaia di lettori attraverso seguitissime omelie trasmesse in diretta online, sui social network, nella comunità nata attorno al convento dei Servi di Maria di Montefano.

La sua fede gioiosa, la passione per la libertà, la fedeltà allo spirito della sacra scrittura e il profondo rispetto per la vita hanno reso preziosi i suoi studi e i suoi commenti per quanti sono oggi alla ricerca di un punto di riferimento e di una guida.

Nel nuovo libro, Botte e risposte – Come reagire quando la vita ci interroga (Garzanti), che contiene nuove riflessioni (ispirate proprio dagli articoli scritti per il nostro sito, ndr), Maggi propone sorprendenti riflessioni e si confronta con i temi più caldi dell’attualità, con lo smarrimento di fronte alla tragedia della pandemia, con la necessità di un rinnovato impegno di ciascuno verso il prossimo, e ci invita a recuperare interiormente quel messaggio di pace e di uguaglianza che è forse la risposta migliore che possiamo trovare quando la vita ci mette alla prova.

botte e risposte alberto maggi

Maggi è una delle voci della Chiesa più ascoltate da credenti e non credenti. Con Garzanti ha pubblicato Chi non muore si rivede, Nostra signora degli ereticiL’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi, Due in condotta, La verità ci rende liberi (una conversazione con il vaticanista di Repubblica Paolo Rodari).

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo l’introduzione del suo nuovo libro:

LA SETTIMA SENTINELLA

Il tema della «luce in fondo al tunnel» è quello che con costante ripetitiva monotonia ha accompagnato sin dai suoi inizi la lunga interminabile pandemia scatenata dal Covid-19. Se per il pessimista non si vede ancora alcun chiarore, il fiducioso spera di vedere presto la luce in fondo al tunnel. In entrambe le posizioni, sia quella negativa, che non ammette vi sia tale luce se non in un vago e lontano futuro, sia quella speranzosa, che attende ansiosa di vederla presto spuntare, l’atteggiamento sembra essere perlopiù di passiva inattività, in attesa che prima o poi si possa intravedere questa benedetta salvifica luce.

Il cammino dell’umanità però non è portato avanti da coloro che attendono lo spuntare della luce, ma da quanti pur nelle tenebre, nell’oscurità più fitta, a tentoni e attraverso sforzi ed errori, sono divenuti essi stessi luce che illumina, riscalda, e hanno aiutato gli altri a scorgere la via da percorrere. La vera luce, infatti, quella che guida gli uomini, non giunge dall’esterno, ma nasce dall’intimo della persona come irradiazione della sua esistenza e della sua risposta al bisogno di pienezza di vita. Quando la luce è espressione della vita degli uomini, è sempre vincitrice su ogni forma di tenebra e di morte, secondo l’assicurazione dell’evangelista che «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5; 1 Ts 5,5).

Diventare ed essere luce non sono forme di presunzione, ma rappresentano la responsabile risposta a un ben preciso mandato del Cristo, che ha proclamato di essere «la luce del mondo», assicurando che chi lo segue «non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Il Signore, però, non ritiene una sua esclusiva prerogativa essere «la luce del mondo» e l’estende anche a quanti lo seguono: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14). Coloro che accolgono il mandato di essere «luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15) sono invitati a far risplendere la loro luce davanti a tutti, non certamente per attrarre l’attenzione su di sé, ma perché, vedendo le loro opere buone, cioè azioni che comunicano e arricchiscono la vita degli altri, gli uomini rendano gloria al Padre.

Essere luce significa porsi in sintonia con l’azione del «creatore della luce» (Gc 1,17; Gen 1,3), il Dio che in ogni sua opera vede il buono e il bello (Gen 1) e aiuta a essere capaci, come lui, di non giudicare «secondo le apparenze» o di prendere decisioni «per sentito dire» (Is 11,3; Gv 7,24). Effetto della luce è lo splendore, e le persone che vengono definite splendide, quelle che brillano per la loro generosità, sono «figli della luce» (Ef 5,8). Essi non hanno la pretesa di ergersi come guide per gli altri, come «luce per coloro che sono nelle tenebre» (Rm 2,19), ma si mettono a loro servizio come compagni di viaggio, per questo non s’innalzano ma si abbassano, coscienti che prima di insegnare agli altri occorre insegnare a sé stessi (Rm 2,21), nella consapevolezza che «il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5,9).

Essere luce, quindi, significa attivare, a livello spirituale, antenne sensibili che consentono di percepire anticipatamente il pericolo imminente. La sapienza biblica, infatti, insegna che «la coscienza di un uomo talvolta suole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare» (Sir 37,14) e rende capaci di riconoscere subito i lupi rapaci che si presentano in veste di pecore (cfr. Mt 7,15), allertando in tempo utile la comunità. È questa coscienza che consente a ogni uomo, come il profeta, di accogliere responsabilmente il mandato del Signore: «Fi-glio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 3,17;33,1-9). Se la sentinella tace, non avverte, non parla, per timore o per interesse, il Signore la ritiene responsabile del suo silenzio e gliene chiederà conto (cfr. Ez 3,18).

La luce che il Signore è, e che invita a essere, illumina la vita e rende capaci di vedere al di là dell’angusto orizzonte umano, per spingere «lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente» (Gen 13,14). Secondo tale prospettiva di fiducioso affidamento il Signore invitò Abram ad alzare i suoi occhi oltre i limiti del luogo in cui viveva, a spaziare verso sconfinati orizzonti per fare di lui, che si era ormai rassegnato a non avere figli, il «padre di una moltitudine di nazioni» (Gen 17,5), facendogli sperimentare che non c’è nulla d’impossibile per il Signore (cfr. Gen 18,14).

«Alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36,10) confida fiducioso il salmista. Le pagine che seguono vogliono essere un’interpretazione degli avvenimenti della società, della Chiesa e dell’umanità secondo l’insegnamento della Scrittura, che aiuta a illuminare le vicende della storia e a scorgere in ogni situazione la presenza inconfondibile di quel Dio la cui «sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo» (Sap 8,1). Nel suo amore, infatti, il Padre tutto trasforma in bene (Rm 8,28) e fa sì che ogni uomo, in qualunque situazione si trovi, anche la più difficile o avversa, possa con tutta sicurezza esclamare come Paolo «in tutte queste cose noi siamo più che vincitori» (Rm 8,37).

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it