Non è che le trovi, le parole. Le cerchi, ma non le trovi.
Ho provato a leggere gli articoli, ad ascoltare le voci, ma a un certo punto l’orrore è più forte. Ti costringe a chiudere tutto.
C’è una frase, però. Una frase di Riccardo, proprio. L’ha detta durante il suo ultimo interrogatorio:
“Non pensavo che avrebbero sofferto così tanto”.
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Noi non possiamo sapere che cosa è successo dentro questo ragazzo. Anche se lo conoscessimo da una vita, sarebbe impossibile determinare cosa sia scattato quella notte in lui.
Queste sue parole, però, mi hanno ricordato una vecchia storia, una vecchia terribile storia dei primi anni duemila, quella dei ragazzi che gettavano i sassi dal cavalcavia. Ve li ricordate?
In quei giorni il professor Galimberti sì che riuscì a trovare le parole: disse che questo succedeva perché, “per quei ragazzi, quelle erano come macchine vuote”.
Forse è questa, una delle chiavi possibili, il filo che lega quegli eventi all’oggi. Forse anche Riccardo a un certo punto deve aver pensato che i corpi dei suoi famigliari fossero corpi vuoti. Bambole di pezza, come ha ben descritto lo psicologo Alberto Pellai.
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Non sono uno psicologo, sono solo uno scrittore e un insegnante. Per cui non posso parlare altro che di sensazioni, di percezioni, di sguardi, di silenzi. Non scrivo per dare risposte, ma solo per suggerire domande. E una di queste è: perché questo senso di vuoto? Cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?
Come mai abbiamo adolescenti che si tagliano le braccia, e che mentre lo fanno provano un’incredibile vitalità, salvo poi pentirsene subito dopo? Perché abbiamo ragazze e ragazzi che smettono di mangiare, e festeggiano ogni grammo perso come una conquista, anche se così mettono a rischio la loro stessa vita?
Anche Riccardo pensava che sterminare la sua famiglia lo facesse sentire meglio, per poi rendersi conto un attimo dopo che no, non si sentiva per niente meglio. Che quel vuoto era rimasto intatto.
Macchine vuote. Corpi vuoti.
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Forse il vuoto che questi ragazzi percepiscono è in realtà distanza dalla vita: forse queste cose succedono perché questi ragazzi hanno sempre vissuto tenendo la vita a distanza.
Grazie agli schermi dei telefoni, per esempio, ma non è solo quello. La mia sensazione – mi sbaglierò, spero tanto di sbagliarmi – è che siamo proprio noi, i loro genitori, che li teniamo a distanza dalla vita.
Che li allontaniamo da ogni paura, da ogni pericolo, da ogni fallimento: cioè proprio da tutto ciò che è essenziale affinché la vita si compia.
Non lo facciamo per cattiveria, certo, o perché siamo improvvisamente impazziti: però è vero che troppo spesso mettiamo la nostra tranquillità al primo posto. Il saperli al sicuro è per noi sinonimo di quieto vivere. Ci fa stare meglio. Ci fa sentire bravi genitori.
Ma un genitore veramente bravo sa che vivere quasi mai è quiete.
Specie a diciassette anni, vivere è inquietudine.
Lo disse Papa Francesco, un giorno, in diretta tv, parlando ai giovani: l’inquietudine è una cosa buona. Ti dice che sei vivo. Che non sei un sasso privo di vita. O una bambola di pezza. Che non sei una macchina vuota.
Nessuno, credo, potrà mai trovare i perché di una strage così insensata. Ma forse questa orribile storia ci può aiutare, in qualche modo, a cambiare un po’ punto di vista quando guardiamo i nostri figli.
Non teniamoli distanti dalla vita.
Non preserviamoli da ogni dolore, da ogni caduta, da ogni noia.
Chiediamoci sempre se quando li proteggiamo dalle insidie della vita lo stiamo facendo per loro, o per noi.
Facciamo loro il dono più grande, anche se ci fa tanta paura: lasciamo che la vita accada.
Solo così, forse, si può tenere quel vuoto a distanza.
L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.
Dopo il successo di romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande.
Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita non basta… E ora ha pubblicato con Salani il suo nuovo libro per ragazzi,
L’incredibile avventura di un super-errore.
Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per il nostro sito, con cui collabora con costanza da diversi anni (anche in versione video, su Instagram e TikTok).
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Fonte: www.illibraio.it