“Dove si nascondono le rondini”: l’incontro che cambia la vita a un bambino e a una brigatista

di Redazione Il Libraio | 12.01.2022

Lamberto odia giocare a nascondino. Odia le case abbandonate. Eppure è sicuro che i suoi compagni di classe siano in agguato, lì da qualche parte. Ma quando si volta di scatto nel tentativo di sorprenderli non si trova davanti uno di loro, ma una donna. Una donna che stringe in mano una pistola.

Lamberto e Irene si conoscono così. Lui è un ragazzino timido e impacciato che trova la risposta giusta solo quando è nella sua stanza a disegnare. Lei ha dedicato tutta la vita a una causa che ritiene più importante di ogni altra cosa: le Brigate Rosse.

Lamberto conosce i brigatisti attraverso i racconti del padre carabiniere. Irene può essere pericolosa. Molto pericolosa. Dovrebbe denunciarla, ne è certo. Ma ogni giorno che passa con lei, a mano a mano che si conoscono, Lamberto scopre di sentirsi più forte e più sicuro. Irene gli insegna che deve dire sempre quello che pensa, senza paura; che deve credere in sé stesso e ribellarsi a chi vuole decidere al posto suo. Lamberto, invece, insinua nella giovane donna un dubbio che in lei non era mai affiorato: la scelta di sacrificare la propria vita per cambiare il mondo è stata quella giusta? Davvero non c’era altro modo di scardinare il sistema? E quel segreto mai confessato poteva sul serio cambiare tutto?

Sono diversi Lamberto e Irene, come l’ingenuità e la disillusione. Ma sono più simili che mai. Fino al giorno in cui accade qualcosa che nessuno dei due potrà mai dimenticare. Qualcosa che li farà scontrare con la dura realtà. Perché non si vive di sole parole, anche se sono le parole che ci fanno crescere e diventare chi vogliamo essere.

Nel romanzo d’esordio Dove si nascondono le rondini (Garzanti), Enrico Losso riporta il lettore con la mente a uno dei periodi più cupi della storia italiana: gli anni di piombo, raccontando la storia di un ragazzo in cerca della sua identità e di una donna che porta il peso delle proprie scelte.

L’autore, nato a Vittorio Veneto nel 1974, abita a Ferrara e lavora come impiegato amministrativo all’Università di Bologna, ed è appassionato di storia.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Doveva sbrigarsi. Doveva tanare il gemello Pongo. Camminò per altri trecento metri. Si fermò dietro a due faggi che crescevano a un braccio di distanza l’uno dall’altro. Si accorse che poco più avanti c’era un casolare. Gli ritornarono in mente le parole della Samantha. A osservarlo bene, l’edificio aveva tutta l’aria di essere abbandonato. Gli scuri di legno di colore rosso corallo erano chiusi. L’intonaco giallo ocra era scrostato in più parti. In giardino c’erano erbacce ingiallite che spuntavano nella neve. Anche la rimessa per gli attrezzi doveva aver visto periodi decisamente migliori. Il legno delle pareti aveva bisogno di una riverniciata. Il tetto sembrava collassato su sé stesso. La porta era aperta, quasi divelta. La rete metallica che circondava la proprietà era tutta arrugginita e in un paio di punti si era arricciata. C’era spazio sufficiente per strisciarci sotto. Lamberto guardò ancora l’orologio. Fece un passo in avanti, poi si fermò. Gli sembrò di aver udito un fruscio proveniente dalla rimessa. Rimase immobile per qualche secondo. Era molto probabile che Danilo Dal Mas si fosse andato a nascondere proprio là dentro perché conosceva la paura che Lamberto provava per i luoghi isolati. La annusava, come facevano le bestie carnivore con le loro prede. L’aveva attirato lì per umiliarlo. «Stavolta te la faccio vedere io.» Sapeva di avere soltanto una possibilità di batterlo: scoprilo prima che lui prendesse troppi metri di vantaggio. Nelle gare di corsa erano in parità, ma se il gemello Pongo avesse iniziato a correre per primo, non lo avrebbe più raggiunto. Allungò una mano verso la rete e si accorse del tremolio delle dita. Doveva pensare alle cose belle per vincere la paura, glielo ripeteva sempre il nonno. Strizzò gli occhi e si vide accanto a lui di fronte lo schermo della TV che proiettava un film western. Doveva muoversi come gli indiani Sioux, silenzioso e letale. Gli avrebbe tolto lo scalpo, a quel fesso del Pongo. Si infilò sotto la rete facendo attenzione a non rovinarsi la giacca a vento. Color ruggine, per sua madre. Color merda di cane, per i Lupi Matti. Quando si rimise in piedi girò la testa a destra e sinistra per vedere se si fosse mosso qualcosa. Tutto sembrava immobile. Il Sioux si mosse in punta di piedi, leggermente piegato in avanti, fino alla porta del capanno. Si appoggiò con le spalle alla parete vicino. Il cielo si era fatto di un bianco più cupo. Il cuore non doveva aver capito bene di appartenere a un guerriero abituato a mille battaglie, perché si era trasformato in un tamburo e sembrava volergli schizzare via dal petto. Tirò un sospirone prima di sporgere la testa all’interno della rimessa. «Ta…» L’ultima sillaba gli morì in gola. Oltre un grande ammasso di attrezzi e ciarpame impolverato, non c’era nient’altro. Il gemello Pongo lo aveva davvero fregato. Non c’era più alcun dubbio. Non avrebbe saputo dove andare a cercarlo ancora. Rimase sulla soglia il tempo per realizzare che si era fatto davvero tardi. Doveva ritornare dagli altri e subire i loro sbeffeggi. Per non parlare del ritorno a casa. C’era solo da sperare che suo padre fosse ancora al lavoro. Un rumore di rametti che si spezzavano alle sue spalle lo fece schizzare come un chicco di popcorn nella padella. Campì una rotazione sul posto di trecentosessanta gradi. I suoi occhi sbarrati catturarono in una frazione di secondo l’immagine della persona che si era avvicinata a solo tre passi da lui. Ma non era Danilo Dal Mas, perché lui non portava i capelli lunghi. E la cosa che stringeva in mano quella figura aveva tutta l’aria di essere una pistola. Una pistola vera.

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it