Enrico Galiano insegna ad andare a “scuola di felicità per eterni ripetenti”

di Redazione Il Libraio | 30.08.2022

Enrico Galiano è uno scrittore che fa del suo lavoro e della comunicazione con i ragazzi (sui social e non solo) il suo scopo principale. Insegnante in una scuola di periferia, ha raggiunto la notorietà con la webserie Cose da prof. Protagonista quotidianamente sui social, nel 2015 Galiano è stato inserito nella lista dei 100 migliori insegnanti d’Italia dal sito Masterprof.it.

Come docente e autore ha cercato sempre un dialogo con i più giovani, intervenendo nei vari dibattiti sulla scuola e sui metodi di insegnamento. Da anni scrive per il ilLibraio.it (qui tutti i suoi articoli e le sue prese di posizione).

Il suo nuovo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti (Garzanti), trasporta il lettore proprio nella sua classe, riportando storie dei suoi alunni, dei ragazzi e delle ragazze che ha conosciuto e grazie ai quali e alle quali si è reso conto che si è davvero eterni ripetenti. Come sempre, Galiano mira a costruire un rapporto diretto con studenti e studentesse, che superi la distanza di “ruoli”, nella consapevolezza che nessuno finisce mai di imparare.

Prima di questo nuovo libro, Galiano ha esordito con successo per Garzanti con Eppure cadiamo felici, a cui poi sono seguiti Tutta la vita che vuoi, Più forte di ogni addio, Basta un attimo per tornare bambini (illustrato da Sara Di Francescantonio), Dormi stanotte sul mio cuore, L’arte di sbagliare alla grande e Felici contro il mondo. Per Salani si è poi cimentato anche nella narrativa per ragazzi, con La società segreta dei salvaparole, dove protagoniste sono proprio le parole e la loro importanza.

Le parole ritornano anche nella sua scuola di felicità: quando i ragazzi e le ragazze assillano di domande i docenti, cercano una comunicazione che se accolta consente di apprendere più di quanto si insegni loro. Quando insistono per essere ascoltati e finalmente li si ascolta, è possibile capire perché si è davvero sempre ripetenti.

Su ilLibriao.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un capitolo:

PICCOLA LEZIONE SUI SOGNI

«Io conosco poeti che spostano fiumi con il pensiero
e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo.»

ROBERTO VECCHIONI, Sogna ragazzo, sogna

Dentro il vocabolario di italiano ogni tanto trovi dei piccoli tesori.

Prendete «nubivago»: una parola che descrive chi vaga sempre fra le nuvole coi suoi pensieri, chi sogna a occhi aperti, chi ha la testa costantemente per aria. Come concetto, esprime lo stesso di alcuni verbi stranieri, come l’inglese to daydream, il tedesco tagträumen o il finlandese hàaveilla.

Queste parole, però, non mi hanno mai convinto troppo: danno al concetto del sognare a occhi aperti una connotazione se non negativa, come di qualcosa di slegato dalla realtà. Il sognatore a occhi aperti, nella nostra immaginazione, è qualcuno che se ne sta con la testa fra le nuvole, che non ha i piedi per terra, che divaga senza mai concludere niente. Esistono, certo, sognatori così.

Eppure.

Non so se è l’unico senso possibile di questa espressione: esistono anche sogni a occhi aperti che, pur non essendo realistici, sono lo stesso possibili.

Parlano di realtà che non esistono, ma perché vogliono crearne una nuova, costruirla da zero, tirarla su dal nulla. Sono sempre sogni, ma sogni che tengono in gran conto la realtà: e, a proposito di modi di dire, «avere gli occhi aperti», «tieni gli occhi aperti», «apri gli occhi», sono tutte espressioni che parlano di attenzione, circospezione, concretezza.

E allora?

Allora forse ci servirebbe una nuova parola, una che non esiste ancora: quella che descrive chi è sia sognatore sia persona concreta, chi pensa per utopie e al tempo stesso ha i piedi ben piantati a terra. Chi, insomma, nei sogni non fugge dalla realtà, ma ne immagina semplicemente una diversa, con l’idea un po’ folle di cambiare quella in cui si trova.

Emma e le figure nei libri

Il titolo del tema è Non è giusto.

Uno dei miei cavalli di battaglia: mi piace riproporlo sempre, perché diventare grandi passa anche da lì, dal momento in cui comincia a essere ingombrante, il sacco di cose che non ti vanno giù, che ti sembrano storture, incoerenze, diseguaglianze, fregature. Lei, Emma, è una ragazzina magrissima e minuta, una sosia in miniatura di Hilary Swank, problemi col padre a non finire, sorella con disturbi dell’alimentazione; a volte i suoi testi sono pugni nello stomaco, proprio quelli che ti immagineresti dalla ragazza pugile di Million Dollar Baby. E invece no: scrive leggero, non urla, è una delle ragazze più dolci a cui abbia insegnato. Il titolo però le piace, perché la sua lista di Non è giusto è lunghissima.

E soprattutto non fa come i compagni, che se la prendono con le ricreazioni troppo corte, con i troppi compiti, con i genitori che stressano eccetera: anzi infila nella sua lista alcune ingiustizie a cui non avevo mai pensato come “ingiustizie”. Quella che mi sorprende più di tutti è questa:

Non è giusto che nei libri ci siano le figure, perché quando le vedi poi non sei più libero di immaginare le scene come vuoi tu.

Alzo gli occhi dal foglio, guardo verso di lei, le sorrido. Questa ragazzina quarantachilisevabene ha appena trovato le parole a una sensazione che conosco, da anni la conosco, ma non ero mai riuscito a inquadrarla: quella di quando ti accorgi che qualcuno vuole scipparti i tuoi sogni.

Quando senti come una forza attorno a te il mondo che silenziosamente ti costringe a vedere le cose esattamente come lui ha deciso debbano essere, e chiude ogni spazio alla tua fantasia in nome del realismo, della concretezza, della praticità.

Wow, ecco cos’era. Percepivo qualcosa di ingiusto attorno a me, ma non l’avevo mai inquadrato così bene. Forse tutti i nostri guai sono iniziati quando abbiamo deciso che reale e concreto fossero il bene, mentre fantasia e astratto erano il male; se non il male, almeno qualcosa che doveva comunque avere uno spazio ridotto, da controllare per bene, da tenere a bada.

Certo, lo so, alla fine nel suo tema lei parlava solo di libri, e di quel senso di truffa che avverti quando giri pagina, trovi l’illustrazione e ti capita davanti agli occhi un’immagine che non c’entra niente con quella che ormai avevi disegnato nella tua testa: però ha scelto di scriverlo in un tema dove si parla di ingiustizie.

Quando ero piccolo mi avevano sempre insegnato che sono le fantasie a essere una truffa, che sognare troppo è da pazzi perché poi i sogni non combaciano mai con la realtà, e son dovuto arrivare a quarant’anni per sentirmi fare, dal tema di una di dodici, questa domanda precisa: e se fosse proprio questa storia della concretezza, la truffa più grande di tutte?

L’armatura di Ironman

Passa qualche anno. Mi ritrovo in classe un ragazzino considerato da tutti un cattivo soggetto: il che corrisponde abbastanza alla verità, dato che ha qualche propensione al fancazzismo estremo e un vero e proprio talento nel fare da animatore del casinismo di classe. Quello che posso constatare io, però, fin dai primissimi giorni, è la sua smodata ambizione: tredici anni – è in prima perché è stato bocciato – eppure ha già le idee molto chiare sul proprio futuro, sa perfettamente cosa vuole.

«Voglio diventare ricco da far schifo, prof!»

Ma occhio: non è come altri a cui ho sentito dire frasi simili, generici aneliti alla ricchezza magari appresi da modelli televisivi o social. Lui ha proprio deciso che vuole fare i soldi, e sta già pianificando varie possibilità: creare una linea di vestiti, entrare nell’organizzazione di eventi, darsi al commercio grazie alle sue, indubbie, abilità di venditore. Quando ti capita un alunno così ti chiedi sempre: ma come diavolo è possibile che sia stato bocciato? Bastano cinque minuti con lui per constatare intelligenza fuori dalla norma, rapidità di pensiero, battuta pronta, e forse la risposta è semplice: alla scuola italiana non piacciono tanto le intelligenze fuori dalla norma. Quasi sempre vengono inquadrate come elementi di disturbo, come cattivi soggetti, appunto; e poiché non eseguono i compiti che la scuola dà loro, eccolo lì il bollino rosso, magico, adatto a tutte le età e perfetto per il colloquio genitori: «Signora, suo figlio è intelligente, ma non si applica». A me, personalmente, quando ho di fronte ragazze e ragazzi con quel cervello strabiliante e vedo che non riesco a cavare un ragno dal buco – cosa che succede spessissimo – il primo pensiero che viene in testa non è che lui o lei sia intelligente ma non si applichi, ma: che metodo posso usare per tirar fuori tutto quel materiale prezioso che se ne sta lì, inutilizzato? Comunque.

Facciamo questa attività in cui loro devono scrivere una lista di sogni che vorrebbero realizzare. Dalla sua mi aspetto una pletora di idee per far soldi, piscine e macchine di lusso, e invece quando leggo quello che ha scritto mi ritrovo di fronte una cosa che più assurda non si può:

Voglio costruire un’armatura come quella di Ironman

Lo guardo. Rileggo. Poi torno a guardarlo.

«Ma sei serio?»

«Serissimo, prof!»

Sì, è serio: è andato addirittura su internet a studiarsi la carriera accademica di Tony Stark, dice che anche lui vuole iscriversi all’MIT di Boston e che è sicuro di riuscirci, lui sarà la persona che realizzerà quello che nei fumetti e nei film di Ironman è solo un salto particolarmente acrobatico della fantasia umana. Allora mi trovo di fronte a un bivio, uno di quelli molto decisi e netti: da un lato, ridere; dall’altro, prenderlo sul serio. Ora, col senno del poi, tutti mi diranno: «Ma certo, è facile, dovevi essere serio, i sogni dei ragazzi sono sacri e bla bla bla». Bravi, bravi: ma vorrei vedere voi, in quella classe, con di fronte lo sguardo di un ragazzo di tredici anni – non due, non tre: tredici! – convinto seriamente di riuscire, un giorno, a creare qualcosa che fino a quel momento è stato solo fantascienza.

Be’, vi posso assicurare che non è per niente facile restare seri quando ascoltate un’idea del genere. E non perché io sia cinico e nemmeno perché il sogno di quel ragazzo era troppo folle; ma perché non esiste una parola per dire “sognatore a occhi aperti” e dirlo in senso positivo. C’è come un vento che ci porta tutti dalla stessa parte, il vento della concretezza, dei piedi per terra, del testa a posto e del cuore in pace. Ecco, la mia più grande fortuna, è di essere lì un attimo prima della linea, nell’età precisa – fra i dodici e i quattordici – in cui il bambino sparisce dentro il ragazzo, quando la realtà si presenta prepotente e ti obbliga a vedere le cose solo in un modo, come le illustrazioni che rovinano le fantasie di una ragazzina, come il mio istinto a ridere del sogno di emulare Tony Stark. Ed è una fortuna perché li puoi ancora salvare, ti puoi ancora salvare, non è solo il costume di Ironman, tutti i giorni ho a che fare con costumi di Ironman, tutti i giorni quel bivio fra il ridere e il prenderli molto sul serio, e tutti i giorni sforzarsi di ricordare che hanno ragione loro, che aveva ragione lui a mettere nero su bianco un sogno così pazzo, così assurdo, eppure allo stesso tempo così vero. Che se ti avvicini, se ti avvicini per bene, puoi quasi sentire l’eco delle risate, delle grasse risate che risuonarono alle spalle del primo uomo che – pazzo! – si era immaginato di poter trasportare le cose con una ruota. Hanno ragione loro a sognare in grande, e noi, che ridiamo di loro, noi siamo gli unici veri ridicoli. Perché, se ti sforzi, riesci ancora a percepirle, le prese in giro subite da quell’impiegato dell’ufficio brevetti svizzero che su dei fogli sparsi si era appuntato una strana teoria che lui chiamava relatività, e con cui pensava di capovolgere da solo trecento anni di storia della fisica. Fa spesso così, la gente, davanti a ciò che è diverso, o nuovo. Ride. Ma è molto utile ricordarsi, ogni volta che anche a te viene da ridere, che la strada per la grandezza è sempre lastricata di risate di scherno.

Paura di sognare

Chissà da dove viene, la paura di fantasticare, la fifa che non ci fa guardare oltre, immaginare cosa ci possa essere oltre la siepe, verso gli interminati spazi e i sovrumani silenzi; forse è questo che ci trattiene qui inchiodati alla realtà, ma nel tema di Emma, nel sogno di quel ragazzo e tutte le altre volte in cui ho avuto davanti la stessa scena, io leggo la ribellione contro chi ti vuole mettere davanti sogni preconfezionati, già decisi, già belli che pronti, solo da scartare e da consumare, immagini nei libri che fissano le parole in un unico colore, un unico paio di occhi, un unico tratto di matita, mentre tu magari quel personaggio lo volevi immaginare in un altro modo, te l’eri creato più alto, meno grosso, magari assomigliava a qualcuno che conosci. Emma aveva scelto il tema del Non è giusto per dire che a lei non andavano giù le figure nei libri; dodici anni e quaranta chili e aveva già capito come il mondo vede i sognatori, i daydreamers, i nubivaghi: gente poco concreta, che non ha i piedi per terra, persone sostanzialmente pericolose che vanno messe alle strette al più presto. Che ingiustizia un mondo che non ti lascia fantasticare, che pretende che tu veda Harry Potter come vuole lui, con i tratti di un attore ben preciso, senza rendersi conto che, togliendo linfa alla tua fantasia, la sta togliendo anche alla tua realtà. Come in quelle righe fenomenali di Ursula K. Le Guin: Perché il fantastico è vero, naturalmente. Non è reale, ma è vero. I bambini lo sanno. Anche i grandi lo sanno, ed è per questo che molti di loro hanno paura del fantastico. Sanno che la sua verità è una sfida, e persino una minaccia, a tutto ciò che è falso, a tutto ciò che è fasullo, inutile e volgare nella vita che si sono lasciati costringere a vivere. Hanno paura dei draghi perché hanno paura della libertà.

I veri matti

E allora quando sei lì, davanti a queste cose, capisci chi sono i veri matti.

I veri matti non sono i matti: sono quelli che non impazziscono mai.

I veri matti non sono gli innamorati: sono quelli che l’amore gli passa davanti, e loro lo lasciano andare.

I veri matti non sono quelli che non sanno quello che fanno: sono quelli convinti di saperlo sempre. I veri matti non sono quelli che scrivono fuori dalle righe: sono quelli che fuori dalle righe non ci vanno mai.

I veri matti non sono quelli che parlano con gli alberi, con gli uccelli, con le strade: sono quelli che gli alberi, gli uccelli, le strade, non li stanno mai ad ascoltare.

I veri matti non sono i matti. I veri matti siamo noi, quando i soli sogni che facciamo li facciamo a occhi chiusi.

Chissà, forse un giorno imparerò davvero questa lezione.

Per ora, sono un eterno ripetente.

© 2022, Garzanti S.r.l., Milano

(continua in libreria…)

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Fonte: www.illibraio.it