Galiano ottimista sulle nuove leve di insegnanti, ma non sulla politica: “Ha un totale disinteresse verso i più giovani”

di Antonio Prudenzano (@PrudenzanoAnton) | 07.09.2022

Dopo il successo, un anno fa, del suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande, Enrico Galiano torna in libreria con Scuola di felicità per eterni ripetenti (Garzanti), sua seconda prova nell’ambito della saggistica, di cui abbiamo già anticipato un capitolo (“piccola lezione sui sogni”).

Nato a Pordenone nel 1977, insegnante in una scuola di periferia, in questo nuovo libro l’autore friulano prende spunto dalle tante esperienze con i suoi alunni, che gli hanno fatto comprendere un concetto certo non nuovo, ma che molte persone fanno fatica a mettere in pratica: nella vita nessuno finisce mai di imparare.

Da anni Galiano, che scrive con frequenza per ilLibraio.it, si sforza di cercare un dialogo (non sempre facile) con i più giovani. Lo dimostrano anche i suoi libri, oltre alla sua incessante attività sui social, da Facebook a TikTok, passando per Instagram.

Nel suo percorso di autore troviamo sia romanzia sia saggi. Galiano ha infatti esordito per Garzanti con Eppure cadiamo felici, a cui poi sono seguiti Tutta la vita che vuoi, Più forte di ogni addio, Basta un attimo per tornare bambini (illustrato da Sara Di Francescantonio), Dormi stanotte sul mio cuore, e il suo primo saggio, come detto, L’arte di sbagliare alla grande. Poi ancora un romanzo, Felici contro il mondo, fino al debutto la scorsa primavera nella narrativa per ragazzi con La società segreta dei salvaparole (Salani).

Abbiamo intervistato Enrico Galiano in occasione dell’avvio dell’anno scolastico 2022-2023 e dell’uscita di Scuola di felicità per eterni ripetenti.

Entriamo subito nel vivo del nuovo libro, dove in esergo citi Pablo Picasso: “Ho passato una vita a imparare a dipingere come un bambino.”. Un po’ l’idea di fondo del testo, un invito agli adulti, ai tuoi colleghi insegnanti (ma non solo), a porsi con umiltà e a provare a imparare a loro volta dagli adolescenti. Non a caso, nella prefazione chiarisci che quello che proponi nel saggio è “un corso in cui le ragazze e i ragazzi saranno gli insegnanti, e noi gli studenti”. Pensi davvero che la maggior parte dei genitori, degli educatori e dei docenti sia pronta e disposta a raccogliere, concretamente e non solo a parole, un invito di questo tipo?
“Per quello che ho potuto osservare in tutti questi anni in cui sono stato un insegnante, la maggior parte dei miei colleghi si pone con questo atteggiamento quando entra in classe: principalmente, cioè con l’idea di imparare qualcosa, piuttosto che di insegnare qualcosa. E allora quello che volevo fare era proprio trasmettere questo approccio, questo sentimento, questa apertura: provare a ribaltare i piani, aprirsi alla saggezza dei più giovani – perché i più giovani hanno una loro saggezza, totalmente diversa dalla nostra – e metterci lì dalla parte del banco, blocchetto degli appunti in mano, occhi e orecchie aperti ad ascoltare questa saggezza”.

Ancora una volta, come già nel precedente L’arte di sbagliare alla grande, non ti spaventa rendere pubblici i tuoi limiti, da insegnante e non solo, e nel nuovo libro a un certo punto ribadisci, riferendoti ai ragazzi: “Hanno sempre avuto ragione loro, e noi non sappiamo niente”. In più, parli della tua gratitudine nei confronti dei tuoi studenti. Come gestisci, però, gli inevitabili momenti di scoramento. Quando le cose in classe proprio non vanno, sono i ragazzi stessi a farti ritrovare il sorriso?
“Partiamo dal presupposto che i momenti di scoramento sono quotidiani: ci sono sempre quei cinque minuti in cui sei lì e vorresti scappar via! Il filo rosso che collega il primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande, a questo, è proprio quel ragionare intorno ai nostri limiti e, senza una particolare vergogna ma con onestà, parlarne: anche perché sono profondamente convinto che se c’è un modo per trovare una breccia in quel muro che ci separa, per differenza di età e per esperienze, dai più giovani, è proprio quello di aprirsi, lasciare intravedere il proprio mondo interiore, con tutte i suoi luoghi oscuri, le sue debolezze, i suoi errori e anche appunto i suoi limiti”.

Dopo gli anni segnati dalla pandemia, dalla Dad e dalle mascherine, cosa ti aspetti dal nuovo anno scolastico? Temi ancora tanta confusione e difficoltà, o sei più ottimista?
“In questo momento gli anni della pandemia sembrano – e sottolineo sembrano – un po’ lasciati alle spalle: potrebbe essere finalmente l’anno in cui torniamo a fare le cose con una certa libertà, soprattutto di movimento e di contatto! Naturalmente le paure sono ancora tante, però c’è anche la consapevolezza che forse questi anni ci hanno fatto crescere, sia noi sia loro. E da questo punto di vista sì, sono un po’ ottimista”.

Spiegaci cosa provi.
“Sento che la generazione che ci aspetta, i ragazzi che arriveranno adesso, sono ragazzi temprati da due anni e mezzo di grandi difficoltà, e quindi forse da queste difficoltà, oltre alle tante cicatrici, avranno trovato il modo per ricavarne una forza diversa, nuova, inedita”.

In un recente articolo, riferendoti ai concorsi straordinari per inserire nuove leve di insegnanti di ruolo, hai auspicato l’urgenza di cambiare il modo in cui reclutare gli insegnanti, manifestando una serie di critiche. In generale, come ti sembrano le nuove generazioni di insegnanti? Come ti rapporti ai tuoi colleghi più giovani? Anche da loro ti arriva la forza per andare avanti nel tuo impegno in classe, e non solo?
“Se devo essere sincero, quasi sempre le giovani leve di insegnanti sono fenomenali! Arrivano con il loro entusiasmo, il loro coraggio e la loro forza, anche la loro incoscienza, utilissima in certe circostanze. E poi portano in classe metodi nuovi, e rappresentano grandi occasioni di crescita per me. Sarebbe bello se la scuola italiana si svecchiasse un po’, lo dico anche a mio discapito, perché ormai faccio anch’io parte della vecchia guardia…!”.

Si avvicinano le elezioni: oltre ad auspicare quello che dovrebbe essere scontato… e cioè che le ragazze e i ragazzi, e la scuola stessa, rappresentino una priorità per il governo che verrà, quali lezioni dovrebbe apprendere la politica dagli adolescenti italiani, reduci da anni non certo semplici?
“Purtroppo questa è una domanda che, per quante risposte belle possa tirare fuori, non troverà una risposta nella realtà: appare ormai evidente a tutti come attualmente la politica mostri un totale disinteresse verso i più giovani, che non entrano mai nei discorsi dei candidati, nei programmi nei progetti, ma sono sempre e costantemente l’ultima voce in capitolo. Se invece imparassimo non solo a parlare di loro, ma anche a parlare con loro, acquisiremmo uno sguardo nuovo”.

E in quel caso cosa potrebbe cambiare?
“Ad esempio l’ambiente sarebbe messo senza dubbio al primissimo posto – e invece di nuovo, anche qui, nei programmi e nei progetti della politica la crisi ambientale arriva sempre dopo moltissime altre voci. Sarebbe bello se la politica fosse così umile, ma anche previdente, da ascoltarli davvero i giovani, per fare loro una semplice domanda”.

Quale?
“‘Di cosa avete bisogno in questo momento?’. Ma ho paura che nessuno dei nostri attuali rappresentanti sia davvero interessato alla risposta”.

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Fonte: www.illibraio.it