“Il mio nome è Due di Picche”: Sandra Bonzi racconta con ironia una storia di rinascita

di Francesca Cingoli | 24.04.2023

“E-che-cavolo, ci sono voluti millenni per passare dai graffiti delle caverne alla definizione di un alfabeto di ventun lettere, con le quali riuscire a comporre un numero infinito di bellissime parole che è un peccato non usare… Certo è più semplice e veloce affidarsi agli emoticon invece di dover pensare a quel che si vuole dire, trovare le parole giuste, dar loro una forma e infine digitarle… E poi, cosa mai ce ne faremo dei secondi così risparmiati?
Vecchia.”

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Si sente vecchia, Elena Donati, ultracinquantenne, di fronte al mondo che le sta cambiando davanti e sotto i piedi. I figli, ormai grandi, allevati all’indipendenza, stanno organizzando la loro vita in autonomia, con l’università, l’Erasmus, una serie di amici che arrivano da ogni paese a trasformare la casa in un rave party multietnico.

Loro hanno i loro linguaggi («Drema, non mi cringiare»), il suo praticante Andrea ha la mania degli emoticon, che lei non capisce (come si risponderà a una bomba o un fuoco?), la redazione dove Elena lavora da anni è progressivamente sventrata da un capo terminator privo di etica che rivoluziona ogni cosa in favore del digitale («Pezzi brevi, dirette video, tweet e grande utilizzo dei social»).

Tutto la fa sentire datata. Ci si mette pure la madre, la ottuagenaria ma vulcanica Margherita che, dopo aver lasciato il marito («Nell’ultima fase della mia vita non ho voglia di occuparmi di uomini»), vive con due anziane amiche giocando sì a burraco, ma online, e dedicandosi a tiratissimi binge watching delle serie tv più in voga.

A peggiorare le cose ci sono i segnali del corpo, che, si sa, dopo i cinquanta comincia a chiedere più manutenzione: ma a differenza della sua migliore amica, la spregiudicata Claudia, sempre in forma e allenata, Elena preferisce la routine di Sissi, la pasticceria che fa parte delle cose più amate della sua vita.

Il tempo passa e rende difficile ritrovare la leggerezza, uno spazio proprio dove avere ancora il brivido dell’emozione: “Vita sessuale?!” “Soddisfacente?” “Che parola grossa…”. Inutile che Claudia la inciti a lasciarsi andare a qualche avventura, magari grazie alle chat che lei frequenta, dove essere giocatori di padel è una valida scusa per incontrarsi. In effetti il matrimonio di Elena e Ettore è un po’ addormentato dalla quotidianità della vita, Milano e i suoi ritmi non aiutano, meglio la lentezza del piacentino, nella cascina dove il romanticismo ha il profumo dei pisarei al sugo, e il calore di una cuccia sicura, a restituire complicità.

“Elena era rassicurata dalla placidità del marito, e allo stesso tempo irritata. Possibile che sotto quelle acque chete non si nascondessero gorghi e tempeste? Solo il suo inconscio pullulava di paure e mostri?”

Rimane il lavoro di giornalista, e il bisogno di tenere ferma la sua autorevolezza in redazione, o almeno la poltrona, a regalare a Elena qualche buona scarica di adrenalina, sulle tracce di uno scoop vincente. Salta fuori un assassinio, proprio sopra l’appartamento dove Margherita vive con le sue amiche, in via Settembrini. Una bella donna, in una pozza di sangue, un mistero sul quale fare chiarezza, tanto più che Elena quella donna la conosce.

Non basta l’aiuto di Andrea, il sostegno e le informazioni sottobanco dell’amico e magistrato Capelli, la cui vista continua, tra l’altro, a darle qualche brivido nella schiena: a indagare ci si mettono pure le tre vecchiette, prive totalmente del garbo e dell’istinto investigativo di Jessica Fletcher, insieme all’agente Russo, impegnato a tenerle d’occhio, poliziotto poco portato per le indagini ma più per le ricette dei biscottini al limone, trasformato in qualche giorno da Margherita e dalle sue amiche in una caricatura del maggiordomo di Downton Abbey, che si occupa del cane e lucida l’argenteria.

È un’Armata Brancaleone, vivace e incasinata, che con una buona dose di Moscow Mule, un po’ di tecnologia, il quinto senso e mezzo di Elena (che non conosce il cast di Criminal Minds, ma Dylan Dog si) e qualche mano di burraco, arriverà a capire chi si cela dietro il “due di picche”, la firma dell’assassino.

Grazie al filo conduttore del giallo, Sandra Bonzi con Il mio nome è Due di Picche (Garzanti) viaggia disinvolta su una storia scritta con ironia e intelligenza, per raccontare chi siamo, nei momenti di cambiamento (che è difficile quanto necessario).

Sono i sentimenti delle relazioni a rappresentare la base della storia: Margherita con il suo bisogno di una nuova giovinezza sprigiona simpatia e dialetto milanese, il padre di Elena, Mario, scopre la curiosità e la vivacità attraverso il cibo, uscendo dalla sua rigidità in una nuova visione del mondo da esplorare, magari nei ristoranti etnici, i figli, che sono rumorosi, disordinati, un po’ supponenti ma incredibilmente coraggiosi e assetati di verità, rappresentano un’opportunità per vedere orizzonti nuovi, che la generazione di Elena non aveva a disposizione.

È la loro forza che ripaga delle paure, delle fatiche e della responsabilità che sempre l’hanno spaventata e fatta sentire inadeguata.

“Questi ragazzi sono molto meglio di come lei se li immagina. Difficile, forse impossibile incasellarli. Cresciuti in un mondo che gli ha offerto fin troppi stimoli, ma che sembra fatto e consumato, cercano la loro strada apparentemente senza una bussola. È la generazione che studia di più e più a lungo di tutte quelle che l’hanno preceduta.”

Il mio nome è Due di Picche è un racconto di emozioni, di riflessioni condivise con naturalezza, fa pensare a tutti i sentimenti che ci circondano e che ci nutrono, e che sono legati all’amore, all’amicizia e al legame filiale.

È un romanzo brillante, godibile, che è capace di far ridere, pieno di sapore, di cose buone e di musica, che accompagna attraverso le vie di una Milano bella pur nella sua frenesia, e nelle stradine della campagna che cura e rimette in sesto, anche dal tempo, che è ancora tanto, e pieno di sorprese. Dopo Nove giorni e mezzo, Sandra Bonzi regala un nuovo scoop alla sua eroina Elena Donati e lo fa sotto il segno della rinascita, altro che tramonto della mezza età.

Elena si riscopre, circondata da un bisogno energico e coraggioso di rinnovamento: capace di fare scelte, di ridare vigore al suo lavoro e intimità al suo matrimonio, di usare la tecnologia per ritrovare un volto del passato, di smascherare un killer e, più di tutto, di lasciare andare i suoi ragazzi nel mondo, a cercare la propria strada, per ritrovare uno spazio per sé, con un po’ di malinconia ma anche tanta curiosità per quello che verrà.

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Fonte: www.illibraio.it