La certezza che, per quanto l’oggi ti sembri senza una via d’uscita, “c’è ancora domani” – di Enrico Galiano

di Enrico Galiano | 11.04.2024

Sì certo, la violenza sulle donne.

Come no, il patriarcato ai suoi tempi d’oro, tutto racchiuso non tanto negli schiaffi di Valerio Mastandrea ma nel suo sguardo sempre freddo, superiore, quello di chi ti fa un favore a rivolgerti la parola.

E fiumi di parole sono stati scritti su quanto questo film descriva l’oggi raccontando lo ieri, di quanto ci parla del presente pur usando il bianco e nero.

Ma a un certo punto ti accorgi che non è solo quello. Non parla solo di quello.

Sono convinto che un film diventi un classico quando moltiplica i piani di lettura: quando, cioè, la mera “trama” si fa in realtà fotografia di qualcosa, un sentimento, un tipo di dinamica emotiva. Un’allegoria.

Come i miti, avete presente? Li leggi, e sai che non stanno mai parlando solo di dei e dee, eroi ed eroine, ma di tutti. Di noi tutti. E tutte.

Ecco: C’è ancora domani non parla solo di una storia degli anni ’40: non parla solo di una donna vittima di un marito violento e ancor di più di una cultura che le ha insegnato a subire e stare zitta.

È metafora di qualcosa di molto più universale.

Te ne accorgi non subito, ma quasi. La scena che secondo me te lo fa capire è quando l’amica di Delia, Marisa (Emanuela Fanelli), scuote la testa al mercato e le dice di lasciarlo, quel marito, di andarsene.

Lì la risposta di Delia è sempre la solita: “Eh, bisogna capirlo, ha fatto due guerre”, ma noi che siamo spettatori di quest’anima imprigionata in un matrimonio così palesemente infelice, insomma ci vien quasi voglia di entrare nello schermo e ribellarci, buttare giù la quarta parete e unirsi a Marisa per dire a Delia “Aò! Ma allora!”

C’è ancora domani sapete di cosa parla, in realtà?

Di quando sei incastrato, o incastrata, in una vita che non è la tua.

Di quando tutto intorno a te ti dice che dovresti cambiare, andartene, un lavoro che ti deprime, una relazione che ti appiattisce, amicizie che non ti danno niente, eppure.

Eppure non te ne vai.

Perché sembra niente, ma ci vuole un grande coraggio a fare una scelta così. Ci vuole una forza immane, a sfidare l’ignoto, le convenzioni, i giudizi della gente.

Che bravo che è stato Mastandrea in questo film, nel suo ruolo di villain però socialmente accettato, il male nella sua versione più atroce: la banalità. Perché proprio così è quella forza che ti trattiene a una vita che non ti appartiene, ha gli stessi occhi truci di Ivano, il marito di Delia, e punisce con gli stessi potenti schiaffi ogni tentativo di scappare. E per la società, per le convenzioni, è lui che ha ragione.

E che vivida la recitazione di Cortellesi, in quegli occhi perennemente stanchi, in quelle rughe sofferte annamagnanesche, in quella cocciuta sopportazione dentro cui siamo stati tutti, tutte le volte che non abbiamo saputo – o potuto – dire no a qualcosa che ci ammazzava dentro.

E mi piace che il finale sia quello, proprio quello (non lo spoilero, tranquilli).

Però è bello che te lo dica così, che l’unico modo per uscirne è tutti insieme.

Che alle ingiustizie – o alle vite incastrate – non ci si può ribellare usando i verbi al singolare. È sempre un fatto plurale, di tutti.

È questo che ti lascia infine un film dove per tutto il tempo hai avuto addosso l’ansia di osservare un’anima in prigione: la certezza che le sbarre che la vita ti mette attorno si possono sempre rompere.

La certezza che, per quanto l’oggi ti sembri senza una via d’uscita, c’è ancora domani.

L’AUTORE E IL NUOVO ROMANZO – Enrico Galiano,, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi. Dopo il successo di romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) come Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoiFelici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, si appresta a tornare in libreria con Una vita non basta

Enrico Galiano Una vita non basta

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Fonte: www.illibraio.it