“La flagellazione di Cristo”: Piero della Francesca, artista enigmatico

di Chiara Montani | 03.01.2021

Un senso di sublime equilibrio, ma anche l’impressione di affacciarsi su un mondo metafisico, più o meno come accade durante i sogni quando, dall’ambiguità di un solo dettaglio, ci si rende improvvisamente conto della loro irrealtà.

È questo ciò che cattura e incanta nelle opere di Piero della Francesca e che raggiunge l’apice nel suo dipinto più emblematico, La flagellazione di Cristo.

Questa piccola tavola, che giaceva dimenticata nella sagrestia del duomo di Urbino e di cui non esiste menzione fino alla metà del ‘700, ha scatenato l’immaginazione di storici e critici. Una moltitudine di interpretazioni si è riversata sul dipinto, con il risultato che alla Galleria Nazionale delle Marche, dove è conservato, la didascalia occupa un’intera parete.

Ma a prescindere dal fatto che il quadro voglia alludere all’assassinio di Oddantonio da Montefeltro, sia un’allegoria della Chiesa flagellata dai turchi, un invito a unirsi alla crociata contro gli infedeli o una qualsiasi delle altre decine di ipotesi talvolta fantasiose e bizzarre, il mistero racchiuso in quell’immagine avvince al primo sguardo.

Ci si avventura in quell’universo di assoluto rigore con l’impressione di specchiarsi nell’ordine del cosmo, una dimensione dove tutto è commisurato secondo proporzioni che replicano quelle usate dalla natura per le sue creazioni, le stesse che presiedono anche alle consonanze musicali.

L’occhio insegue dettagli architettonici di maniacale perfezione, che disegnano un mondo ingabbiato nella prospettiva, troppo perfetto però per essere vero.

Ci si lascia stregare dalla luce diafana e meridiana che impregna i colori come una liquida colata e cristallizza ogni cosa in una completa immobilità. Un’atmosfera rarefatta e sospesa, che si riflette nell’epica indifferenza dei personaggi, simili a magnifiche statue prive di sentimenti o emozioni.

E al cospetto di quelle creature che si ergono sopra la fragilità umana senza affermare nient’altro che la loro esistenza, si sperimenta una sorta di saggezza, ma non si riesce a scacciare l’impressione di trovarsi di fronte a un enigma irrisolto.

Anche la biografia di Piero non dispensa certezze, a partire dalla sua data di nascita che viene fatta oscillare fra il 1411 e il 1420. I punti fermi sono pochi e i documenti frammentari, al pari del corpus delle sue opere, in larga parte disperse, come quelle che si suppone abbia eseguito a Firenze, Ancona, Pesaro, Bologna, Ferrara, Roma.

È nota la sua formazione accanto a Domenico Veneziano e il legame con Sansepolcro, suo borgo natale, dove i confratelli della Misericordia furono fra i primi ad accorgersi del suo talento. Si sa che subentrò a Bicci di Lorenzo nell’esecuzione degli affreschi del coro di San Francesco ad Arezzo, lasciandoci uno dei cicli pittorici più affascinanti di tutta la storia dell’arte e che due acerrimi nemici, Sigismondo Malatesta e Federico da Montefeltro, vollero essere entrambi da lui immortalati.

La sua vicinanza con le dottrine neoplatoniche è data ormai per assodata, al pari del suo spessore intellettuale e della sua passione per la matematica, che lo portò negli ultimi vent’anni di vita ad abbandonare la pittura per dedicarsi alla compilazione di trattati sulla prospettiva, sull’abaco e sui cinque corpi regolari. Una scelta curiosa, che mostra una certa indifferenza verso il successo e che non può essere motivata solo dalla progressiva perdita della vista, in quanto quei trattati sono corredati da splendidi diagrammi e disegni di sua mano.

Da qualunque lato la si approcci, la personalità poliedrica, originale e complessa di Piero della Francesca risulta enigmatica almeno quanto i suoi dipinti e questo è parte dell’incantesimo che, attraversando intatto i secoli, riposa sulla superficie delle sue arcane geometrie dipinte.

Chiara-Montani IL MISTERO DELLA PITTRICE RIBELLE

L’AUTRICE – Chiara Montani, architetto di formazione, ha lavorato nel campo del design, della grafica e dell’arte, esplorando varie tecniche e materiali, e partecipando a esposizioni in Italia e all’estero. Specializzata in arteterapia, conduce da anni atelier sulle potenzialità terapeutiche del processo creativo.

Nel romanzo Il mistero della pittrice ribelle (Garzanti), porta il lettore nella Firenze del 1458. Lavinia, ferma davanti alla tela, immagina come mescolare i vari pigmenti: il rosso cinabro, l’azzurro, l’arancio. Ma sa che le è proibito. Perché una donna non può dipingere, può solo coltivare di nascosto il sogno dell’arte. Fino al giorno in cui nella bottega dello zio arriva Piero della Francesca, uno dei più talentuosi pittori dell’epoca. Lavinia si incanta mentre osserva la sua abile mano lavorare all’ultimo dipinto, La flagellazione di Cristo. L’artista che ha di fronte è tutto quello che lei vorrebbe diventare. E anche l’uomo sembra accorgersene nonostante il contegno taciturno e schivo.

Giorno dopo giorno, Lavinia capisce che la visita di Piero nasconde qualcosa. Del resto sulle sponde dell’Arno sono anni incerti: il papa è malato e sono già cominciate le oscure trame per eleggere il suo successore. E Piero sa più di quello che vuole ammettere. Il sospetto di Lavinia acquista concretezza quando lo zio viene ingiustamente accusato dell’uccisione di un uomo e Piero decide di indagare. Ma Lavinia questa volta non vuole restare in disparte. Grazie alla vicinanza dell’artista, che fa di tutto per proteggerla, per la prima volta comincia a guardare il mondo con i propri occhi. Perché lei e Piero sono entrati in un quadro in cui ogni pennellata è tinta di rosso sangue e ogni dettaglio è un mistero che arriva da molto lontano. Perché la pittura è un’arte magnifica, ma può celare segreti pericolosi…

Fonte: www.illibraio.it