La guerra dell’arte e gli eroi che salvarono dal saccheggio nazista i tesori italiani

di Chiara Montani | 06.10.2023

Come ebbe a dire Mark Wayne Clark, il generale statunitense al comando della 5a Armata, “fare la guerra in Italia è come combattere in un maledetto museo d’arte”.

Anche lui però, seppure con riluttanza, finì per acconsentire alla distruzione di Montecassino nel febbraio del 1944. Solo un mese più tardi toccò alla Cappella Ovetari di Padova, polverizzata insieme al ciclo di affreschi del Mantegna, mentre il Cenacolo di Leonardo era sopravvissuto per puro miracolo alle bombe dell’agosto 1943.

Drammatiche istantanee della precarietà in cui versava lo sterminato patrimonio artistico e architettonico del nostro paese, alle prese da un lato con i bombardamenti a tappeto e dall’altro con l’avanzare del fronte, che dopo lo sbarco alleato in Sicilia stava risalendo la penisola trasformando città, borghi e campagne in una terra desolata, ricoperta di macerie.

Ma questi non erano gli unici rischi a cui furono esposti i tesori artistici italiani, come peraltro quelli di tutta Europa, durante gli anni del secondo conflitto mondiale. Esisteva un altro pericolo, non meno insidioso, e mi riferisco alla più colossale operazione di saccheggio del ‘900, sistematicamente messa in atto dai nazisti ai danni dell’intero continente. Tutto ciò avvenne durante la guerra, ma in Italia ebbe inizio molto prima.

L’ossessione nazista per l’arte risale senza dubbio alle aspirazioni frustrate di Hitler, che in gioventù, nel 1907, si vide respingere dall’Accademia di belle arti di Vienna. Mosso anche da una mai sopita volontà di rivalsa, il Führer pose l’arte al centro del suo distorto pensiero, la utilizzò come arma di propaganda, lavorò ai plastici delle sue faraoniche città ideali gomito a gomito con architetti di grido come Albert Speer e stabilì canoni estetici rigidissimi, esercitando un feroce controllo sugli artisti di tutte le discipline. La cosiddetta “arte degenerata” fu messa al bando, salvo continuarne un lucroso commercio sottobanco, mentre, per assicurarsi che gli artisti incriminati non osassero più lavorare, agenti della Gestapo eseguivano controlli a sorpresa e un semplice odore di trementina o un pennello umido erano motivo sufficiente per un arresto.

Parallelamente Hitler lavorava ad arricchire la sua collezione personale, con speciale predilezione per l’arte germanica, la statuaria classica e l’arte rinascimentale. Mentre coltivava il progetto di costruire a Linz, la città della sua infanzia, il Führermuseum, che sarebbe dovuto diventare il più grande museo mai concepito, attingeva a piene mani alle collezioni confiscate agli oppositori politici e agli ebrei. E avendo intuito le possibilità offerte dall’occupazione di altri Paesi, si era già preoccupato di stilare elenchi di opere di cui appropriarsi appena possibile.

L’Italia fu una delle sue prime scelte. L’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, chiamato suo malgrado a fare da guida durante la prima visita di Hitler a Firenze, nel 1938, racconta che questi rimase letteralmente folgorato da Palazzo Pitti e dalla Galleria degli Uffizi. In preda a una vera e propria sindrome di Stendhal, il Führer si soffermava un tempo interminabile davanti a ciascuna opera, tanto da suscitare l’impazienza di Mussolini, che d’altro canto non possedeva una sensibilità artistica altrettanto spiccata.

Il Duce, il quale in un discorso del dicembre 1942 alla Camera dei Fasci affermò che avrebbe preferito “avere in Italia meno statue, meno quadri nei musei e più bandiere strappate al nemico“, non aveva particolarmente a cuore il patrimonio artistico nazionale e non si faceva quindi scrupolo di compiacere l’alleato in ogni suo desiderio.

Giulio Carlo Argan racconta di una commissione per l’acquisto delle opere d’arte capeggiata da Filippo d’Assia, il genero di Vittorio Emanuele III, che si faceva portavoce delle richieste naziste. Richieste che in genere riguardavano opere vincolate dallo Stato italiano, di cui sarebbe quindi stata vietata l’esportazione. Il ministro degli esteri Galeazzo Ciano, quando non Mussolini in persona, aggiravano però abilmente il divieto opposto dal ministro dell’educazione Giuseppe Bottai ottenendo sempre il nulla osta alla fuoriuscita delle opere, le quali spesso venivano pagate con complessi giri di valuta o acquistate all’asta da prestanome.

Centinaia di pezzi presero allora la via della Germania, a partire dal Discobolo, copia romana dell’originale in bronzo di Mirone, proseguendo con oggetti preziosi, arredi e dipinti di Tiziano, Tintoretto, Leonardo, Raffaello, Lotto, solo per citarne alcuni, in un’emorragia senza fine, diretta ad arricchire le collezioni private non solo di Hitler, ma anche di diversi altri gerarchi, il più vorace dei quali era senz’altro Hermann Göring. Solo quest’ultimo, già peraltro responsabile di aver incamerato l’intero patrimonio polacco e buona parte dei tesori del Louvre, fece partire dall’Italia centinaia di casse, che arrivavano a destinazione perfettamente sigillate, senza che gli addetti doganali si disturbassero neppure a controllarne il contenuto.

Enigma Tiziano

L’AUTRICE E IL LIBROChiara Montani, architetto di formazione, ha lavorato nel campo del design, della grafica e dell’arte, esplorando varie tecniche e materiali, e partecipando a esposizioni in Italia e all’estero. Specializzata in arteterapia, conduce da anni atelier sulle potenzialità terapeutiche del processo creativo.

Tra le sue pubblicazioni Il mistero della pittrice ribelle (Garzanti, 2021) e La ritrattista (Garzanti, 2022).

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Enigma Tiziano, il suo nuovo romanzo edito da Garzanti, ha inizio sulle sponde del Lago di Garda, nel 1942. Qui la protagonista, Aida, si imbatte in uno straordinario ritrovamento: un misterioso quadro, interamente ricoperto da uno strato di pittura nera. Aida è una restauratrice e la sua missione diviene quella di riportare alla luce il dipinto che intuisce essere nascosto sotto l’anonima superficie.

Ciò che scopre va oltre ogni aspettativa: mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti a un autentico Tiziano. È profondamente convinta che si tratti del maestro veneziano, ma deve scovarne le prove. Così si avventura per le calli di una Venezia cupa e ingrigita sulle tracce del grande pittore. La accompagna un esperto d’arte dalla personalità sfuggente e dalla dubbia reputazione. Aida non si fida di lui, ma al contempo è affascinata dal suo carisma e dalle sue parole, capaci di farla viaggiare attraverso i secoli. Ha bisogno di quell’uomo per portare a termine le sue ricerche, rivelatesi più complesse del previsto…

Nel frattempo, nubi inquietanti si addensano all’orizzonte. Il mondo dell’arte è sotto assedio. I tedeschi sono collezionisti senza scrupoli, pronti a gettare ombra sulla bellezza del mondo e un colonnello nazista avido di potere intuisce che Aida non è solo una restauratrice, ma una paladina segretamente impegnata a proteggere l’inestimabile patrimonio di un paese dalla storia millenaria e gloriosa. Nel drammatico scenario dell’Italia occupata, dove la difesa dell’arte dalle distruzioni e dai furti diventa una delle molte facce della Resistenza, Aida dovrà fare appello a tutto il suo coraggio per riuscire non solo a salvare il dipinto di Tiziano, ma anche la sua stessa vita.

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Fonte: www.illibraio.it