“La sorellanza è indispensabile”. Pauline Harmange racconta il pamphlet “Odio gli uomini”

di Nadia Corvino | 09.03.2021

Quando è stato pubblicato in Francia lo scorso agosto, il libro Moi, les hommes, je le déteste (edito in Italia da Garzanti con il titolo Odio gli uomini, nella traduzione di Bianca Bernardi) aveva una tiratura di sole 450 copie: due settimane dopo era già alla terza edizione e contava 2500 copie vendute.

A decretare il celere successo del pamphlet di poco più di 90 pagine è stata la polemica scatenata dalla mail inviata da Ralph Zurmély, un funzionario del ministero delle Pari Opportunità francese, alla piccola casa editrice Monstrograph. Se il testo non fosse stato ritirato dal catalogo, minacciava il funzionario tramite canali non ufficiali, sarebbero seguite conseguenze a livello penale. Dal titolo e dal riassunto presente sul sito a suo avviso era chiaro che il libro fosse un esempio di incitamento all’odio di genere

Ma il breve saggio di Pauline Harmange, attivista e blogger alla sua prima pubblicazione, ha, come spesso accade, una complessità che va al di là del titolo volutamente provocatorio. L’idea portata avanti dall’autrice non è un incitamento né all’odio verso gli uomini né all’esercitare violenza contro di essi, quanto una rivendicazione al diritto di essere arrabbiate.

Anche nei paesi in cui la discriminazione di genere sembra aver fatto progressi, infatti, un certo livello di misoginia (misurabile soprattutto attraverso i numeri ancora preoccupanti della violenza sulle donne e dei femminicidi) è accettato, mentre gli sforzi delle attiviste femministe vengono spesso tacciati di portare avanti un’inammissibile ondata di odio verso l’universo maschile, e sminuiti come esempi di radicalità non necessaria, quando non di isterismo.

Ma quella rabbia prodotta dalle discriminazioni che ognuna incontra secondo Harmange non deve essere soppressa nel tentativo di essere accettate dalla comunità maschile: va piuttosto incanalata in una lotta che miri a soverchiare i meccanismi di oppressione. Le alleanze non vanno create alleggerendo le proprie posizioni per apparire meno aggressive, ma piuttosto cercate in rapporti di sorellanza

E in questo senso l’autrice invita a fare attenzione anche agli uomini che si dicono femministi, ponendo delle domande sul loro comportamento: cercano di educare anche altri uomini ai principi del femminismo? Cercano di rompere i meccanismi che li privilegiano? Cercano di non accentrare su di sé l’attenzione nel dichiararsi femministi? Se la risposta è no, è probabile che si fingano femministi solo per appropriarsi degli unici spazi in cui gli uomini non hanno potere.

copertina del libro odio gli uomini di pauline harmange

ilLibraio.it ha contattato l’autrice tramite email per approfondire le tematiche espresse nel saggio Odio gli uomini.

Nel suo testo Odio gli uomini lei si propone di usare la misandria come strumento per combattere il sessismo. Una misandria che però non è il semplice opposto della misoginia: ci spiega cosa intende lei per misandria?
“Quando parlo di misandria intendo un sentimento negativo nei confronti degli uomini in generale e di ciò che essi rappresentano all’interno delle nostre società patriarcali e sessiste. È un termine che può spaziare dalla sfiducia (giustificata, dato il noto profilo degli autori di violenze sessuali: uomini in stragrande maggioranza) al semplice rifiuto, passando per l’indifferenza. È un sentimento molto diverso dalla misoginia”.

Perché?
“Oggi la misoginia è un tipo di atmosfera nella quale ci sviluppiamo e di cui gli uomini si servono per ferire le donne, che ne sono tutte vittime, in un modo o nell’altro. Si vorrebbero mettere questi due sentimenti sullo stesso piano, ma non ci sono mai stati dei crimini apertamente misandrici, mentre di crimini misogini ne possiamo elencare moltissimi, tra attentati rivendicati e femminicidi“.

In Francia la scorsa estate non sono mancate le polemiche legate al suo libro: a distanza di mesi è cambiato il modo in cui viene recepito?
“Ciò che è davvero cambiato è che molte persone hanno potuto leggere il libro, cosa che non era possibile la scorsa estate. Le reazioni in quel momento furono superficiali: il titolo, lo scandalo che lo circondava, ma nessuna grande questione sulla sostanza, dato che il testo non era facilmente reperibile. Oggi decine di migliaia di persone lo hanno letto, e può svilupparsi una discussione basata sul suo contenuto. Fatta eccezione per gli antifemministi, che non hanno ancora l’intelligenza di approfondire l’argomento prima di affrontarlo”.

Ci racconta la sua esperienza con L’Échappée, collettivo di lotta contro le violenze sessiste e sessuali? Che influenza ha avuto nello sviluppo del suo pensiero?
“L’Échappée è un collettivo la cui missione principale è il sostegno delle persone che sono state vittime di violenza sessuale, indipendentemente dal loro genere. Nei fatti, e conformemente alle statistiche, la grande maggioranza sono donne. Personalmente non sono mai in contatto diretto con le vittime, perché il supporto e l’ascolto sono compiti dei dipendenti, professionisti della salute mentale e del sociale, formati all’ascolto delle storie di violenza. È fondamentale per noi insistere su questa professionalità. Come volontaria e parte del collegio amministrativo, partecipo alla creazione di un ambiente di lavoro sano e rispettoso per i dipendenti, alla ricerca dei finanziamenti e alla prevenzione della cultura dello stupro e delle violenze sessuali. Questa esperienza per me rappresenta il simbolo di un femminismo sul campo, e tutta la conoscenza che ho acquisito sulla cultura dello stupro viene dal mio impegno in veste di attivista. Scoprire che le violenze sessuali fanno parte di un continuum di violenze sessiste, che nessuna istituzione francese è adeguatamente preparata per rispondere a queste violenze e che la società francese è ancora fortemente intrisa di una cultura che minimizza, scusa e facilita queste violenze, mi ha davvero aperto gli occhi”.

L’odio per gli uomini che lei descrive è anche un modo di sottrarsi a quei meccanismi sociali che richiedono alle donne di cercare l’apprezzamento maschile, allontanandole dal consolidare rapporti con altre donne. Che ruolo svolge la sorellanza nella lotta femminista?
“Durante un contraccolpo, le forze antifemministe si attaccano alla divisione della lotta femminista, in modalità ‘divide et impera’. Ovviamente è importante avere uno sguardo critico nei confronti di alcune correnti ideologiche che si rivendicano femministe pur essendo dannose per le donne (penso in particolare alle correnti transfobiche e islamofobe). Però credo che la sorellanza politica sia indispensabile per portare avanti le nostre lotte. Le comunità di donne appartenenti alle minoranze (le donne vittime di discriminazione razziale, queer, trans, povere…) hanno bisogno della complicità delle donne più privilegiate, ed è fondamentale che non ci facciamo prendere dal gioco del ‘chi è la migliore o peggiore femminista’, perché in questo gioco le regole sono dettate dagli uomini e dal patriarcato, e saranno le idee più radicali, e quindi più progressiste, quelle che perderanno. Sono convinta che non si è mai ‘la buona femminista’ della propria epoca quando ci si batte contro il sistema. È importante dare il massimo affinché la lotta avvantaggi il maggior numero possibile di donne e di comunità appartenenti alle minoranze”.

Ha raccontato che sta già lavorando a future pubblicazioni: di cosa tratteranno?
“Sto lavorando a un romanzo che ho scritto nel 2017 e che uscirà in Francia alla fine del 2021, nonché a un saggio personale sul tema dell’aborto”.

Fonte: www.illibraio.it