“La verità ci rende liberi”: il nuovo libro di Alberto Maggi (tra i temi affrontati, l’aborto)

di Redazione Il Libraio | 28.09.2020

Alberto Maggi (biblista e assiduo collaboratore de ilLibraio.it) è una delle voci della Chiesa più ascoltate da credenti e non credenti: le sue posizioni, spesso spiazzanti, fanno discutere e suonano come un pungolo a mettersi sempre in discussione. Perché, come ripete papa Francesco, non bisogna avere fiducia di chi non dubita mai.

In La verità ci rende liberi (Garzanti), una conversazione con il vaticanista di Repubblica Paolo Rodari, Maggi si racconta con sincerità: non mancano ricordi autobiografici, la scoperta della vocazione, gli scontri con le gerarchie ecclesiastiche che gli sono valsi il titolo di “teologo eretico”; e al contempo, da fine biblista, ci offre le sue riflessioni su un Vangelo che troppe volte è stato presentato solamente come un insieme di norme e precetti da rispettare, pena i più tremendi castighi.

alberto maggi la verità ci rende liberi

Ma davvero seguire Gesù non è altro che un insieme di regole da non disattendere? In pagine profonde e ricche di gioia, Maggi ci insegna che è soprattutto nei periodi di maggiore difficoltà, quando siamo alle prese con le più dure prove dell’esistenza, che bisogna avere maggiore fiducia nell’uomo e nella vita.

Alberto Maggi (nella foto grande di Basso Cannarsa, ndr), frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (MC), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Con Garzanti ha pubblicato Chi non muore si rivede, Nostra signora degli eretici, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi Due in condotta.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

(…)

I bambini abortiti che fine fanno?

Quel che ha vita non finisce e come in ogni morte anche questa non è che il passaggio a una dimensione diversa e profonda della propria esistenza, anche se questa è stata appena abbozzata. Il Creatore non può permettere che il suo progetto d’amore sulla sua creatura, scelta «prima della creazione del mondo» (Ef 1,4), venga frustrato e distrutto. Se la mano dell’uomo distrugge, quella di Dio ricrea, se la mano dell’uomo uccide, quella di Dio restituisce la vita.

Nel Catechismo la Chiesa parla ancora di scomunica per chi procura l’aborto. Perché?
Forse perché si crede che con le proibizioni, le sanzioni, i divieti, le paure, le minacce si possa frenare o fermare un atto tanto tremendo. Ma non è con le bastonate che si aiutano i feriti dalla vita, bensì con le carezze. Quando si sono presentate donne che avevano abortito – e, ripeto, si tratta di una tragedia che segna tutta la loro vita –, mai ho usato parole di rimprovero, c’è già la loro coscienza che lo fa incessantemente; mai le ho umiliate, lo sono già abbastanza per conto loro; mai le ho maltrattate, si infliggono da sole un castigo. Ho solo cercato di essere per loro la tenera carezza di Dio, ma, spesso, inutilmente. Sono donne profondamente ferite che si ritraggono alla carezza e quel che dovrebbe essere un sollievo lo sentono come sale sparso sulla piaga. È certo un mio profondo limite, ma in tanti anni di ministero non sono riuscito quasi mai a consolare una donna per quanto aveva compiuto. Si portano per tutta la vita la morte dentro, un castigo tremendo.

Quali parole ti sentiresti di dire a una donna che viene da te confidandoti di aver abortito e di non darsi pace per questo?

Quel che dico a queste donne è di essere mamme. Se vengono a parlare a un prete, è perché sono distrutte per quel che hanno fatto. Spesso le pressioni esterne che inducono una donna a quel gesto sono così forti che lei non si rende pienamente conto di quel che sta per compiere. Dopo sì, ma è troppo tardi. E dunque? Si può cercare di recuperare il suo rapporto con il bambino, dargli un nome, parlargli con tenerezza infinita e sapere che la sua creatura, immersa nell’amore di Dio, non la giudica e non la condanna, ma da questa sfera d’amore le comunica vita per risanare la ferita. Certo, la donna non può rimediare a quel che ha fatto, ma può come riscattarlo, con un nuovo rapporto d’amore tenero.

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it