“Nicolas” di Nicola Gardini, il toccante racconto di un grande amore

di Redazione Il Libraio | 11.05.2022

Nicolas, in libreria per Garzanti, è il toccante racconto di un amore, lungo vent’anni, tra due uomini; è il diario impietoso e travolgente di una malattia terminale; è la storia di una vita intensa e vissuta senza rimpianti.

Navigando nella memoria e contemplando i ricordi che a mano e mano riemergono – siano viaggi alla ricerca di frammenti di infanzia o nuovi sogni alimentati dallo studio della musica – l’autore, Nicola Gardini, presidente della Salani, risponde all’urgenza di riappropriarsi di un passato ormai sommerso.

Nel disegnare un rapporto costretto a fare i conti con un male incurabile, Gardini, classe 1965, che insegna Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford, e che è autore di numerosi libri, riesce a cogliere il carattere eroico e quello più vulnerabile di un’esistenza messa alla prova dall’idea della morte. E così, attraverso il dramma e la gioia della vita di un uomo, celebra poeticamente la vita di tutti.

Per gentile concessione della casa editrice, proponiamo l’incipit:

© 2022, Garzanti S.r.l., Milano

Mi comprai il vestito del matrimonio all’aeroporto di Heathrow, un giovedì di aprile. Gli altri giorni della settimana non avevo il tempo di farlo. A Oxford ero preso dall’università; a Milano accompagnavo Nicolas all’ospedale, andavo al PAM e al mercato, andavo a salutare la mamma. Se saltavano fuori cinque minuti, preferivo passarli a casa. A Oxford, tra l’altro, non si vendevano vestiti belli da uomo. Entrai nel negozio di Paul Smith, dove in tanti anni di viaggi avevo già comprato parecchi capi d’abbigliamento, sia per me sia per Nicolas (per il quale nessun regalo poteva esser più gradito di una camicia o di una maglietta), e subito mi caddero gli occhi su un vestito color sabbia, leggero, estivo. Lo provai, pagai e uscii contento. I pantaloni, al solito, andavano accorciati di un bel pezzo. La giacca sarebbe stata perfetta se le maniche non mi avessero coperto mezza mano. Avrei chiesto alla mamma di portare il vestito dal suo Gioacchino, che, secondo lei, a Milano era il migliore a rifare asole e orli. Notai che avevo perso una taglia. Avevo messo su dieci chili nell’ultimo anno. Ero sempre stato soggetto a fluttuazioni di peso, fin da giovane. A ottantadue chili, però, non ero mai arrivato, come nell’inverno del 2018, record che mantenni per un paio di settimane. Ora ero a settantasette. Quando incontrai Nicolas nel 2001, ne pesavo settanta. Quella taglia in meno era un bell’incoraggiamento a perseverare. Al matrimonio mancava un mese. Ero intenzionato a scendere a settantacinque. Dovevo semplicemente limitare ogni pasto a un piatto unico ed eliminare pane, dolci e alcolici. Ci ero già riuscito altre volte. Nicolas, purtroppo, quando si trattava del mio peso, non mi era di grande aiuto. Lo supplicavo di impedirmi di mangiare biscotti o gelati dopo cena, o di strapparmi di mano il pane, che lui comprava ogni giorno per sé. «Basta che mangi più lentamente, mon coeur», mi diceva. «Se mangi più lentamente, ti sazi prima e così dimagrisci.» A lui, in realtà, non importava niente che io fossi magro. Se doveva scegliere, mi preferiva un po’ sovrappeso. «È la tua condizione», diceva. «Tu sei evolutivamente programmato per sopravvivere nei tempi di carestia.» A ogni modo, magro o grasso che fossi, era come se lui mi vedesse sempre allo stesso modo. Non gli importava niente neppure del mio invecchiamento. Stavo invecchiando, lo vedevo bene, eppure non smettevo di ricevere i suoi baci. «T’es beau», mi diceva, anche se il bello dei due era lui. Tra l’altro, dimostrava meno anni di quelli che aveva e passava immancabilmente per più giovane di me, benché avessimo la stessa età (lui, a esser precisi, era nato due mesi prima). Quando, a causa dei chili presi, certi pantaloni non mi andavano più o una camicia mi budinava (un suo calco da boudiner), cioè mi stava ridicolmente attillata, rendendomi simile a un insaccato, sorrideva comprensivo, non senza compiacimento. Lui era sottile, perfino esile, dieci chili almeno più leggero di me, nonostante fosse più alto e mangiasse molto di più, e non considerasse completo un pasto senza dessert. Con il pollice e il medio riuscivo a stringere quasi interamente la sua caviglia. Certe volte mi sembrava che potessi tenerlo tutto quanto in una mano.

(continua in libreria…)

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Fonte: www.illibraio.it