“Penso alle scelte che ho fatto e dalle quali è una vita che mi nascondo”.
Ventiquattr’ore che dialogano con cinquant’anni di vita: Il palazzo di carta (Garzanti, traduzione di Stefano Beretta) si costruisce su un’alternanza temporale, e si apre e si chiude in un tempo perfetto, concentrato in due risvegli decisivi per la vita di Elle Bishop.
In una lussureggiante Cape Cod, dalla parte selvaggia sull’oceano, Miranda Cowley Heller mette in scena un paradiso perduto di sensualità e conflitti tra dune, boschi e stagni, in un pulsare vivido e abitato di ninfee e tartarughe: ci si tuffa in acque azzurre, la superficie arruffata dal vento, si vive scalzi, liberi nei propri corpi, abbandonati in un luogo immutato.
Il palazzo di carta è lì da quando il nonno di Elle lo ha eretto, al centro di un campo di cabine per le vacanze. Un ritiro sgangherato per fricchettoni, pareti in fibra di cellulosa, lucernario, veranda a zanzariere: è una grande casa precaria, che resiste agli anni, svelando ogni stagione qualche magagna in più, i nidi di insetti, gli scricchiolii delle assi, ma è un posto magico, un punto di riferimento per Elle dall’infanzia. Quel luogo primitivo è diventato nel tempo il simbolo tangibile della sua stessa precarietà, una fragilità dovuta alla forza dei venti del destino, cedevole per le ferite e i traumi subiti. Perché la vita di Elle, cinquantenne brillante con una bella famiglia, un marito inglese sagace e solido e tre figli, nasconde un passato terribile.
In quella ricca e primordiale bellezza si sono consumati i drammi che hanno cambiato il corso della sua vita, e disegnato le sue crepe più profonde: ci sono stati violenze e dolori, colpe e segreti, ma anche amori interrotti, assoluti come lo sono in giovinezza.
“La prima volta che ho visto Jonas, quel giorno vicino alla sorgente, era un ragazzo smarrito dai capelli arruffati che seguiva un uccello”.
Jonas è poco più che un bambino quando incontra Elle, e la ama da subito, per sempre. È un amore spettinato e scomposto, un amorino estivo dagli occhi verde marino, che crescendo rimane un sentimento attaccato con forza, un anello mai tolto.
Dopo decenni, e con il peso di una storia condivisa, Jonas e Elle tradiscono, nell’oscurità, frettolosamente ma con l’intensità di un momento definitivo. Il loro è più di un desiderio travolgente, è un destino che si compie.
Mente chi nega di averlo provato, quello strazio della scelta tra la solidità e il brivido. Ellen si ritrova, nel risveglio del presente, dopo una notte spartiacque dei sentimenti, al bivio più duro: lasciare il marito amato, un uomo stabile, per un amante palpitante e complesso. È quello il dilemma: l’amore estivo, a piedi nudi sotto il sole, o l’amore della quotidianità, della pazienza, il sentimento che fa soffrire o quello che fa sentire al sicuro.
“Mi fermo, in piedi sul precipizio della memoria, e desidero disperatamente cadervi dentro, pur sapendo di non poterlo fare. Jonas è animale, Peter è minerale. E io ho bisogno di una roccia”.
Ci sono nuotate di cui puoi pentirti solo dopo averle fatte. Wallace, madre inappropriata e egocentrica, ma schietta e vivace, riserva a Elle uno spunto di riflessione onesta che scuote le sue sicurezze.
La scelta dipende dalle ventiquattr’ore in cui tutto velocemente precipita, e i muri di carta della vita di Elle minacciano di venire giù, o dalle intemperie che negli anni ne hanno minato la resistenza, rendendo fragile la sua idea stessa di famiglia? Su un punto di crocevia emotivo, Miranda Cowley Heller intreccia due narrazioni raccontando storie di menzogne, amicizie e sesso, interrogandosi sulla possibilità di volare all’indietro, con la determinazione del volo e l’affanno forsennato di un colibrì. A chi non piacerebbe.
Estate dopo estate il clan stravagante di Elle si presenta a Cape Cod con i suoi bagagli di conversazioni, cibo, confusione, con i suoi fantasmi e le ombre delle proprie colpe: è lì, il luogo dell’innocenza perduta che conosce ogni segreto, e vive all’unisono con i protagonisti. Con profondità di indagine l’autrice scava indietro, attraverso il racconto in prima persona di Elle, narratrice confusa, indagando sul senso di una famiglia disfunzionale, dipinge ritratti di relazioni e infedeltà, definendo un ruolo dell’incomunicabilità che adombra la vita rendendola fredda e contrapposta al rigoglio vibrante della natura che avvolge, nasconde, protegge.
Elle attraversa il suo presente scandito da ore, e risale la corrente di una vita costruita su una linea di faglia, con flashback brevi e efficaci che arrivano indietro fino all’infanzia, pieni di personaggi per lo più sgradevoli, ognuno col suo fascino oscuro e infelice a modo suo, e tutti efficaci. La stratificazione di storie conferisce alla narrazione una modalità episodica: si respira in ogni pagina la lunga esperienza televisiva di Miranda Cowley Heller. Capo delle serie drammatiche alla HBO, grazie a una scrittura vivida e luminosa ottiene la massima forza narrativa da ogni singolo frame, e apre il romanzo con una mirabolante inquadratura di una natura morta, di una pera, e il racconto di un peccato appena consumto.
“Ho due scelte. Una non la posso avere, l’altra non merito di averla”.
L’acqua, liscia come miele negli stagni, è protagonista di bagni che sembrano sempre avere una valenza purificatrice, di nuova nascita, tonificante e liberatoria. Poco lontano, l’oceano ruggisce, a ricordare le minacce della vita. Quello dell’acqua è un ruolo primordiale che lega anche alla figura di Peter, l’inglese uomo della pioggia, l’uomo della scelta, con cui allontanare il ricordo delle colpe, e dei rimpianti, e accogliere la rinascita della fertilità.
Il palazzo di carta è un libro intrigante e misterioso che gronda acqua e nostalgia, e una sessualità adulta, consapevole e profonda. Travolgente nell’ambientazione, forte di una brillantezza psicologica che lascia senza fiato di fronte al disordine dei sentimenti e alle loro complessità, inebriante nelle descrizioni, sensuali e sovraccariche di dettagli, è soprattutto implacabile nel far sentire il peso del passato, che grava come un macigno da trascinarci dietro per sempre, in ceppi, ma con la seducente possibilità di nascondere agli altri e a noi stessi chi siamo veramente. Quello che è sott’acqua resta nascosto ai nostri occhi.
“Nuoto fino a dove è più profonda, oltre le ninfee, sospinta dall’euforia, dalla libertà e da una scarica di adrenalina provocata da un panico senza nome”.
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Fonte: www.illibraio.it