Una ragazzina è scomparsa da casa e non se ne hanno più notizie. Milano, attonita e ferita, si è stretta in silenzio attorno ai genitori che da quel momento hanno smesso di vivere…
Elena non può proprio fare a meno di assecondare la sua anima da detective e si immerge in un caso che le è più vicino di quanto possa sospettare. Ma come sempre la sua famiglia non le dà tregua: i genitori ottantenni, separati di fresco, sono in pieno rigurgito adolescenziale e il marito la assilla con proposte di vita bucolica e faticose escursioni su due ruote. Per non parlare dei figli, che saccheggiano frigoriferi e pianificano vite spericolate che non la lasciano dormire tranquilla.
Forse dovrebbe dare retta alla sua amica Claudia, mollare tutto e tutti e partire con lei, come quando erano ragazze, per un viaggio all’insegna del piacere e dell’avventura. Ma ci sono casi che toccano corde profonde. Storie che non si possono lasciar perdere…
In Una parola per non morire, nuovo romanzo di Sandra Bonzi in libreria per Garzanti, torna il personaggio di Elena Donati, giornalista nei panni di una detective per caso.
Lettrici e lettori ritrovano lei e la sua irresistibile combriccola che, per questa nuova avventura, stabiliscono il proprio quartier generale nel piacevole bistrot-libreria aperto dal padre e dalla sua compagna. Ma è davvero il luogo tranquillo che tutti pensano? O anche tra quegli scaffali si nascondono segreti e misteri? La letteratura ne è piena e, Elena ormai lo sa, anche la vita vera…
Su ilLibraio.it, per concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
In ogni città della penisola, da Bolzano a Canicattì, la mattina nei bar è tutto un fiorire di quattro semplici parole: «Un espresso, per favore». A Milano no. A Milano c’è il caffè in tazza grande con un po’ di acqua calda a parte, il macchiato freddo con latte di soia, l’americano, il cappuccio chiaro, il deca, il deca macchiato in tazza grande, il caffè schiumato, corretto, il doppio, il lungo, il ristretto, il freddo in tazza di vetro, il cappuccino con latte di soia, il cappuccino deca, l’orzo, il ginseng, il marocchino, il latte macchiato… Elena non invidia Noor e Hashim che dietro al bancone della pasticceria Bellotti fanno i salti mortali per accontentare tutti, anche quelli che non hanno tempo da perdere perché sono già nel mood lavoro-guadagno-pago-pretendo, un’umanità che fin dal primo mattino riesce a dare il peggio di sé riproducendo lo stereotipo del bauscia, ignorante e scortese. Ma la coppia di giovani egiziani, che qualche anno prima ha rilevato quella tradizionale pasticceria milanese in disgrazia e l’ha riportata ai fasti del passato, ha pazienza da vendere, tanto sono entrambi impenetrabili a qualsiasi genere di villania. Elena non ha bisogno di dire niente per far capire a Noor e Hashim come la pensa. Basta un incrocio di sguardi e un sorriso complice si allarga sul volto della ragazza.
«Buongiorno! Il solito, signora Elena?»
«Eddai, Noor, mi fai sentire vecchia! Ancora con ’sta signora?»
«Ma io rispetto lei!»
«Si dice: “Io la rispetto”…» la corregge Elena con affetto.
«Grazie.»
«Ti ho detto più volte che mi fa piacere se mi dai del tu.»
«Prometto che ci provo. Ti preparo il solito?» chiede Noor, arrossendo per quella confidenza di cui è molto felice ma che fa fatica a concedersi.
«Sì, grazie!» risponde Elena, che non riesce a iniziare le giornate più difficili – e non solo quelle – senza il conforto del miglior marocchino della città. Quella meraviglia di caffè, latte montato a panna e una spolverata di cacao, sorseggiato lentamente, la riconcilia con la vita e l’accompagna con dolcezza nella sua giornata.
Gong, gong, GOOOOOONG, GOOOOOOOONG!
Peccato che la molesta suoneria del suo cellulare la faccia saltare per aria interrompendo così la magia del momento e facendole andare di traverso l’ultimo goccio di quell’assoluta meraviglia.
«Kofofoooof!»
«Ciumbia! Hai la tosse? Sei malata?»
«Scus… kof!»
«Ossignùr… sei proprio una che la se mala per nient!»
«Mi hai fatto andar… kokooof!»
«Tutta tuo padre. Sempre lì lì per tirà i calzett!»
«Buongiorno, mamma. È sempre un piacere sentirti! Qual buon vento?» cerca di tagliare corto Elena, pur sapendo che è impossibile arginare quello tsunami di donna.
«Che ne dici di farmi un’intervista?»
«Una cosa?!»
«Cossa l’è che t’hee minga capì? Un’intervista! Te see minga una giornalaia?
«Giornalista, mamma, giornalista.»
«Uhh, quante arie!»
«Mamm…»
«Me la fai o no?»
«Scusa, perché mai dovrei farti un’inter…»
«Così mi aumentano i follower!»
«I cosa?»
«Madonna, te gh’hee el dun de Dio de capì nagott!»
«Mamma, so cosa sono i foll…»
«E allora? Cosa aspetti?»
«A parte che non esiste che io faccia un’intervista a mia madre…»
«Perché?»
«Deontologia. La conosci questa paro…»
«Oh, muchela! Diventi più pesante ogni giorno che passa.»
«E poi cos’è questa storia dei follow…»
«Ho aperto un profilo Facebook e Instagram. Sai cosa sono?»
«Certo che lo so, mamma. Ma perché alla tua età hai aper…»
«Voglio diventare una influencer!»
«Una cooosa?»
«Sai come la biondina, quella tutta ossa che è andata a Sanremo mezza nuda?»
«Ferragni, mamma, si chiama Chiara e non era nu…»
«Se lo fa lei, che non mi sembra una gran cima, perché non posso farlo io?»
«Mamma, la Ferragni ha meno della metà dei tuoi anni…»
«E allora? Ci sono anche le influencer della Silver Generation!»
«La Silver cosa?!»
«Ma dove vivi? Non conosci la Maye, la madre di quel pezzo di manzo di Elon Musk?»
«Mamma!!»
«Be’, lei non è mica tanto più giovane di me. E cosa mi dici di quella con gli occhialoni tondi, la Iris Apfel? Quella sì che è stagionatina…»
Ecco, ci mancava solo questa. Margherita influencer. Forse, sotto e sopra una certa età, i social andrebbero proibiti per legge, si dice Elena. “Bacchettona”, le direbbe la madre se solo potesse leggerle i pensieri. Vero. Probabilmente ha ragione. La vita media si è allungata e – anche lei deve ammetterlo – queste nuove vecchiette sono l’incarnazione della convinzione che l’età sia solo un numero e che stia nella testa. Una nuova filosofia di vita. Quanto vera e quanto, invece, fortunata e furba operazione di marketing? Elena non lo sa, ma sospetta che l’interessante potere d’acquisto che le grintose carte d’argento 2.0 hanno rispetto alle altre generazioni abbia un peso non trascurabile nel nuovo appeal che la vecchiaia oggi sembra avere. Non sarà un caso se i campi in cui spiccano maggiormente i profili social over seventy sono quelli della moda, del mangiar sano, dei viaggi e delle esperienze. Insomma, tutto ciò che contribuisce a migliorare il proprio benessere e a stare bene con il proprio corpo e con il mondo. Sentirsi ancora giovani e pronte a vivere nuove esperienze, questo è il diktat della nostra epoca. Roba che una si deve sentire in colpa se per caso ha voglia di stare a casetta, risolvere le parole crociate e cenare con caffellatte e biscotti.
Elena ricorda la sua adorata nonnetta, così diversa da Margherita (in effetti si è sempre domandata come potessero essere madre e figlia) e dalle silver contemporanee. Giovanna era la nonna buona delle fiabe. Un dolcissimo scricciolo con le gote sempre rosse che, negli anni in cui aveva potuto godersi quella nipotina, l’aveva inondata di un amore infinito fatto di coccole, baci della buonanotte (quando Elena – felicissima – poteva dormire da lei) e risvegli a base di spumose uova sbattute con lo zucchero e (segretissimo!) una goccia di Marsala. Con la nonna lei aveva imparato che dopo pranzo si fa il pisolo e che, alla mattina e alla sera, dopo essersi lavate, viso e corpo si tamponano con l’acqua di rose. Quando pensa a nonna Giovanna, Elena non può fare a meno di sorridere. Tra i suoi ricordi più esilaranti c’è quello del suo difficile rapporto con la dentiera… Sì, perché la nonna la considerava una gran noia e quindi non faceva in tempo a rientrare a casa dalla passeggiata o dalla spesa, che se la toglieva per poi dimenticarsi dove l’aveva messa. Le risate fino alle lacrime che si erano fatte durante le inevitabili e innumerevoli cacce alla dentiera – che incontravano la totale e schifata disapprovazione di Margherita – sono i ricordi ai quali Elena è più affezionata.
«Comunque no, mamma, un’intervista non te la posso proprio fare.»
«Te ne pentirai, lo sai, vero?»
«Dubi…»
«Quando sarò la regina delle silver influencer e tu mi vorrai intervistare, sarò io a dirti: troppo tardi, ciao Pepp!»
«Te l’ho già detto. Si tratta di deontol…»
«Uhuhuh, che pizza che sei! Comunque ne riparleremo.»
«Va bene, mamma. A pres…»
«Ci vediamo più tardi nel posto dei due pirla?»
«Il locale si chiama Scenù e devi smet…»
«Smetterla di chiamarli pirla? Ma cosa sono due che aprono un posto che non si capisce che cosa sia e gli danno un nome assurdo?»
«Mam…»
«Comunque hai ragione. Non sono due pirla.»
«Brava.»
«Lui è un grandissimo pirla e lei è una sciacquetta!»
«Mam…»
«E ladri!»
«Ladri?»
«Hanno sequestrato il mio agente.»
«Non è il tuo agente e non l’hanno sottratto a te!»
«Certo che sì! Era un grande aiuto in casa. Anche Gregorio soffre la sua assenza. Pensa che il nostro tesorino rifiuta persino i blini con il caviale, perché vuole solo quelli che gli preparava l’agente Russo.»
Il tesorino in questione è un volpino di Pomerania dal pessimo carattere. Un’arma impropria, una palla di pelo di poco più di due chili pronta ad azzannare chiunque si avvicini. Margherita e le sorelle Giuffrida l’avevano adottato qualche mese prima, quando la loro vicina, nonché padrona del quadrupede, era stata trovata accoltellata. Rimasto orfano, il destino di quel demonio sarebbe stato il canile, ma Gregorio – che stupido non è affatto – aveva immediatamente nasato l’esistenza da principe che avrebbe potuto vivere nella casa di quelle tre bipedi che si ostinavano a parlargli come se fosse un neonato. Aveva osservato le dinamiche tra loro, perlustrato l’appartamento e concluso che quella sarebbe stata la sua nuova residenza. Aveva occupato la sala da pranzo – diventata subito ex e trasformata nel suo salottino personale, definito la sua dieta gourmet e assunto il ruolo di sovrano assoluto della cumpa. Tutto ciò era stato possibile grazie alla presenza dell’agente Russo, al quale il capo della Mobile, dottor Palandri, durante le indagini sulla morte della vicina aveva ordinato di «piantonare l’appartamento e non muoversi da lì fino a nuovi ordini», e che si era trasformato in un perfetto maggiordomo, rivelando inaspettate virtù culinarie.
Il venticinquenne originario di San Nicola A Mare, arrivato in città assieme al compaesano Cardone, era quel che si dice a Milano un ciula, ovvero un ragazzone buono come il pane ma obiettivamente poco sveglio. Un vero impiastro di cui Palandri sperava di potersi liberare, lasciandolo lì in eterno. Peccato che la risoluzione del delitto e l’arresto dell’assassino avessero reso di lì a poco totalmente ingiustificata quella trasferta. Per sua fortuna, dopo qualche mese Russo gli si era presentato davanti chiedendogli l’autorizzazione a ridurre il suo orario di servizio, perché voleva dare una mano nell’angolo bistrot di una libreria sui generis. L’agente non aveva usato queste precise parole, ma le aveva dedotte il capo della Mobile, dalle frasi arrangiate e mezzo dialettali che l’impiastro smozzicava. A quel punto Palandri aveva dovuto trattenersi dal saltargli al collo e baciarlo. In cambio aveva indossato la maschera dell’autorità marziale, urlato se per caso se ne fosse uscito pazzo a pensare che le forze dell’ordine potessero fare il part-time e poi aveva ordinato che la «necessità assoluta di presidiare il territorio e monitorare il quartiere» richiedeva la presenza di Russo full-time in quell’angolo bistrot. Una decisione che Mobile e procura avevano festeggiato per settimane, Mario e la Maria benedetto come un regalo piovuto dal cielo e che aveva reso felice l’agente Russo, il quale sognava un futuro da MasterChef. Anche il compare di quel lungagnone, l’agente Cardone, aveva tirato il fiato e si era finalmente liberato dall’impegno di non perdere mai di vista il collega: l’aveva promesso ai genitori del ragazzo prima di partire dal paese alla volta di Milano, ma soprattutto l’aveva dovuto garantire al dottor Palandri, che
lo aveva minacciato di pesantissime ritorsioni nel caso in cui si fosse ritrovato quell’impiastro tra i piedi.
«Comunque, senza il buon agente Russo quel posto sarebbe un totale disastro», prosegue Margherita.
«…»
«Quei due si sono proprio trovati. Zero buongusto, noiosi, e con le persone non ci sanno fare. Due poveretti. D’altro canto la classe non è acqua e quella lì, portinaia era e portinaia rimane. “Condividiamo la stessa passione per i libri”, ma muchela lì ho detto a tuo padre. Quella gatta morta se l’è fatto su come voleva lei. Ha trovato il pollo e si è sistemata. Dammi retta, a pensà mal se fa maal, ma se sbaglia mai. Mi spiace per lui, ma è chiaro che la demenza senile gli ha mangiato quel poco di cervello che si ritrova. Vabbè, ci vediamo dopo lì, va bene?»
«Scusa mamma, ma se il locale non ti piace, perché devi andare a romp…»
«Non essere maleducata! Vado perché, se non ci sono io, lì è un mortorio! Ciao.»
(continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it