Amici libri

di Caterina Bonvicini | 13.02.2016

Quando entro in casa, mi si squaglia l’anima. Non solo perché là fuori c’è tutta la bellezza di Roma, e la sua luce mi commuove sempre, nonostante gli anni, nonostante l’abitudine. Quella piacevole sensazione di disgelo interiore che provo appena apro la porta, in realtà succede un attimo prima – prima di uscire, magari non esco nemmeno – succede dentro casa mia. Perché intorno ci sono loro, i miei libri.

Li saluto a voce alta più o meno come saluto la mia bassotta, solo che a loro non gratto la pancia (sono troppi). Sono la mia storia: tutta la vita che mi sono portata dietro negli anni, trasloco dopo trasloco. Tutte le mie ore passate a leggerli, tutti i miei pensieri cresciuti lì sopra, tutte le idee che mi sono venute e anche quelle che ho dimenticato.

Appena entro, faccio un giro di ricognizione e me li guardo. È un rito di complicità. Naturalmente non li trovo mai fuori posto, perché i libri nella nostra memoria vanno dove pare a loro, ma in casa per fortuna no. Guai a loro, sono ordinatissima. Me ne accorgerei subito. Una volta, durante una festa, qualcuno mi ha rubato le Lettere a Lilli di Flaiano e io me ne sono accorta immediatamente. Ancora stramaledico quel ladro raffinato. Potrebbero bendarmi gli occhi e chiedermi dove sono, e io saprei trovarli uno per uno.

Oltre a essere ordinata, sono feticista. Tengo all’edizione che ho letto e magari sottolineato. Se mi manca, voglio quella. Non importa se è un’edizione superata e stropicciata. Era la mia. Magari la leggevo a vent’anni su una poltrona che non esiste più, in una delle mie tante case che non esistono più. D’accordo, non esistono più i miei vent’anni, non esistono più quelle poltrone e quelle case, ma esistiamo noi: io e quel libro. E mi piace sapere che lui c’è. E soprattutto che io e lui siamo ancora insieme.

Libreria_Bonvicini

Sono una creatura un po’ viscerale (come tutte le creature di carta che voglio tenermi intorno, cioè libri scritti da gente che ha capito che prendere le distanze dalla visceralità è l’unico modo per trasmetterla) ma anche orribilmente pignola. Là fuori Roma è disordinata, ma dentro le mie mura no.

Tutto è in ordine alfabetico, diviso per gruppi. In salotto, dietro al tavolo, c’è una libreria in alluminio dedicata solo alla narrativa straniera contemporanea, separata da quella del corridoio dove abitano gli stranieri precedenti, ormai classici. Sempre in salotto, c’è un’altra libreria interamente occupata solo da libri d’arte e di poesia. La saggistica è divisa per argomenti (storia, musica, filosofia, teatro: con suddivisioni interne vertiginose, per secoli, che vi risparmio). Nel mio studio invece ci sono gli italiani, dietro al divano-letto i contemporanei (la libreria degli amici) e di fianco alla scrivania i classici insieme ai saggi di letteratura. Sempre in studio, c’è una piccola libreria che adoro, dove colleziono lettere e diari e riflessioni di scrittori sul loro lavoro. Quando sento il bisogno di riflettere insieme a un autore (se non succede in cucina, come con i vivi, magari davanti a un bicchiere di vino) vado a pescare lì. Due chiacchiere con Truman (Capote). E il bicchiere di vino glielo dedico.

A disturbare questo mio ordine maniacale ci pensa Milano, dove in parte abito con il mio compagno. Lì i miei libri sono sempre in transito perché ci siamo divisi le case, non solo le librerie. Tu riempi tutta la casa di Milano e io tutta quella di Roma. Ognuno si tiene la sua. Il concetto poteva anche funzionare, in teoria. In pratica funziona molto meno.

Viaggio sempre con delle valigie pesantissime per riportare a Roma i libri che ho letto a Milano e ne dimentico sempre qualcuno. Il problema è che mi ricordo perfettamente cosa ho dimenticato. Quindi arrivo a Roma, guardo tutti i libri di Chiara Valerio in fila e penso: ne manca uno. Si tratta di una copia praticamente introvabile del primo romanzo di Chiara comprata su una bancarella di Gavoi ma io non mi do più pace. A volte mi scrivo un appunto: Manca Teresa Ciabatti. In realtà, Ciabatti abita a Roma, ma io non mi riferisco a lei, mi riferisco a un piccolo racconto di Teresa rimasto a Milano.

Succede anche il contrario. Qualche settimana fa mi sono accorta con sgomento che a Milano non ci sono libri di Jhumpa Lahiri. Perché sono tutti schierati, in perfetto ordine, a Roma, nella libreria di alluminio dedicata agli stranieri (ma lei sta diventando una scrittrice italiana: quindi adesso la devo spostare in studio?) Questa assenza di colpo mi è pesata. Ricomprare i libri di Jhumpa a Milano per non sentirne più nostalgia? (Post-it giallo sulla valigia: Ordinare anche tutte le poesie di Patrizia Cavalli).

Così come succede che a Roma mi ritrovo con due copie di un romanzo di Valeria Parrella, che vanno redistribuite. Evidentemente una me l’ero comprata subito e poi mi è arrivata quella con dedica (Post-it giallo: Portare a Milano Parrella). Sono molto soddisfatta quando gli editori, per sbaglio, mi mandano due copie dello stesso libro (ormai succede raramente perché ci stanno molto attenti). Il caso Milone per esempio mi fa godere moltissimo: posso tenere i suoi ultimi racconti sul tavolo sia a Roma che a Milano, olè. Li faccio vedere a tutti, orgogliosissima: so che ci sono sempre.

E ancora di più quando gli autori stessi mandano due copie, una per me e una per il mio compagno (quindi una da tenere a Roma e una da tenere a Milano). La mia gratitudine non è solo perché hanno pensato anche a lui. È una gratitudine più concreta. Penso al romanzo bellissimo della mia amica Evelina Santangelo: posso tenerlo vicino a me in tutte e due le città, e aprirlo ogni volta che ne sento il bisogno. Solo se uno sfoglia tutte e due le copie, la milanese e la romana, si accorge che ci sono due dediche distinte. Ma non può succedere perché quei due libri non si muoveranno mai dalla loro postazione. Sono una certezza assoluta, ovunque.

Nel caso di Lidia Ravera, ho tirato un grade sospiro di sollievo quando mi ha portato il tascabile di un suo romanzo perché sul retro c’era una frase mia. Giuro che scriverò sempre frasi stupende apposta per i tascabili (due copie, evvai).

Ci sono invece dei libri che non trovano pace perché io e il mio compagno ce li litighiamo. Per esempio l’ultimo di Alberto Garlini, che viene portato su e giù in continuazione. Io gli avevo concesso di sottolineare la mia copia, non di tenerselo nel suo studio. Ogni volta che lo riporto a Roma, dove dovrebbe stare, Ric me lo frega di nascosto. È così lo vedo riapparire a Milano all’improvviso. Con chi ha viaggiato, eh?

Ancora ringrazio la grande previdenza con cui, in tempi insospettabili, ho comprato due copie del primo libro di Alessandra Sarchi, Silvia dai Prà, Maria Perosino, Hamid Ziarati e Stefania Piazzino, per regalarle. Col cavolo che le regalerò. Mi servono per la distribuzione nelle due città.

Così come non mi pento di aver sottratto al mio ex alcuni libri della sua ex moglie. Gli dicevo: Per favore, Sandra Petrignani lasciala a me. Mi ha lasciato quelli senza dedica a lui, un onesto compromesso, direi.

Sono disposta a lasciare a Milano dei libri a cui voglio bene solo se si tratta della camera da letto. Perché penso: Se mi deve cadere sulla testa un romanzo mentre dormo, che sia almeno di Fois. E lo penso con gusto, tanto l’opera completa di Marcello sta dappertutto. Mi muove anche un retropensiero inconfessabile per quei libri che dormono con me: ho paura che mi condizionino i pensieri del giorno dopo, anche da chiusi. Quindi li scelgo con estrema cautela. Ogni notte, in linea d’aria, sotto Edward St Aubyn? Ci sto. Quindi le copie milanesi dei libri di Jhumpa finiranno lassù, sopra la mia testa in fase rem. Non si sa mai.

L’AUTRICE – Caterina Bonvicini è in libreria per Garzanti con il suo nuovo romanzo, Tutte le donne di, in cui l’assenza di un uomo dà finalmente voce alle donne della sua vita. Un libro sull’amore, sulla famiglia, sulle sovrastrutture che la società impone. Una dark comedy che ricorda le atmosfere di Hannah e le sue sorelle di Woody Allen e Speriamo che sia femmina di Monicelli.


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Fonte: www.illibraio.it