E prima o poi dovremo tornarci, a scuola. Senza contare che in molti a scuola ci stanno andando ancora, anche in questi giorni difficili in cui ogni minuto accade qualcosa che può cambiare tutto.
Bene, ma come parlare di tutto questo coi ragazzi? Come possiamo affrontare un tema così delicato come quello della malattia e delle epidemie senza cadere nella retorica e nel qualunquismo?
Come sempre, la cosa migliore è lasciar parlare i libri! Ecco allora una lista di cinque letture che si possono fare coi ragazzi per parlare del coronavirus, anche senza parlare direttamente del coronavirus…
Dunque, testi importanti sull’argomento ce ne sono: da Tucidide che descrive la terribile peste di Atene nel V secolo a Sofocle che parla di quella di Tebe nell’Edipo Re, a Lucrezio, Manzoni ovviamente, e molti altri.
Quelli che ho scelto li ho scelti perché parlano della malattia, sì, ma soprattutto di come gli uomini reagiscono alla malattia. Perché forse è quello il tema. Capire cosa è giusto fare – e non fare – di fronte a un momento di crisi.
– Cecità di Josè Saramago
Un uomo al semaforo: è verde, ma la macchina non parte. L’uomo alla guida è fermo perché è diventato improvvisamente cieco. E da lì in poi un’epidemia misteriosa si diffonde, tutti diventano piano piano ciechi. Vedono tutto bianco, come un mare di latte. Ma cosa racconta il romanzo? Come sia difficile restare umani quando tutti impazziscono.
L’autore, premio Nobel per la letteratura, ha detto del suo libro: “Cecità è sicuramente l’invito a guardare il nostro tempo e le sue sfumature, a fare i conti col buio che ci cela dietro le nostre paure, rendendoci tutti dei potenziali cattivi”. Ecco: quando arriva l’epidemia, tutti sono dei potenziali cattivi. Appuntarselo. Dice Saramago: “Volevo raccontare le difficoltà che abbiamo a comportarci come esseri razionali, collocando un gruppo umano in una situazione di crisi assoluta. Dove la privazione della vista è, in un certo senso, la privazione della ragione”. A un certo punto si legge:
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono”.
– Ovviamente, La peste di Camus
Anni Quaranta. Il luogo è la città algerina di Orono: cominciano a morire i ratti. All’inizio sembrano solo delle coincidenze, ma ben presto… no, non sono coincidenze. È arrivata la peste, cambia subito tutto: la città si trova isolata dal resto del mondo da un cordone sanitario. Anche questo è un libro importante perché ci avverte dei due grandi pericoli di quando arriva la malattia: il pericolo numero uno è la retorica. Tutti devono dire la loro, tutti devono parlare, anche quelli che non sanno nulla.
“Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso l’abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio”.
Il pericolo numero due è la scomparsa dell’amore e dell’amicizia.
“La peste aveva tolto a tutti la facoltà dell’amore e anche dell’amicizia; l’amore infatti, richiede un po’ di futuro, e per noi non c’erano più che attimi”.
Bella questa immagine, vero? La peste che toglie l’idea di futuro, e se toglie quella toglie anche la capacità di amare. Ma chi è l’eroe, quando succede questo? L’eroe della storia è chi continua a fare il proprio dovere, ogni giorno, senza rassegnarsi al male. Come Rambert, il giornalista parigino che decide volontariamente di restare, di non scappare, per documentare l’incedere del male e per rimanere accanto ai malati. E qui occhi a cosa dice Camus: “Per vergogna di essere felice solo per sé stesso”.
Ok, me ne rendo conto: questo testo può essere un po’ difficile, infatti io non dico di leggerlo tutto, ma solo un pezzo. Un pezzo che è come un cartello, sulla strada, che ti indica dove andare quando le cose si mettono male. A un certo punto in questo canto meraviglioso Leopardi dice che l’uomo più nobile, l’uomo migliore è quello che, di fronte alle sventure che accomunano tutti – che possono essere le malattie ma anche i terremoti – l’uomo più nobile dicevo è colui che non vede ogni uomo come un nemico, ma individua il vero nemico: la natura. Tradotto per noi: quel maledetto virus COVID19.
4) Franco Arminio, Decalogo contro la paura
Non ve lo leggo tutto, andate pure a vederlo voi, lo trovate facilmente sulla pagina facebook del “poeta paesologo”, ma il primo e l’ultimo punto sì:
“1. Le passioni, quelle intime e quelle civili, aumentano le difese immunitarie. Essere entusiasti per qualcuno o per qualcosa ci difende da molte malattie.
10. Stare zitti ogni tanto, guardare più che parlare. Sapere che la cura prima che dalla medicina viene dalla forma che diamo alla nostra vita. Per sfuggire ala dittatura dell’epoca e ai suoi mali bisogna essere attenti, rapidi e leggeri, esatti e plurali.”
5) E infine, ovviamente, non può mancare lui: Boccaccio
L’ho lasciato per ultimo non solo perché la sua descrizione della peste di Firenze del 1348 è una delle più vivide, intense e precise della storia della letteratura, ma per un motivo importante, anzi due: il primo è l’inizio del suo capolavoro, il Decameron, la frase che dà il via a tutto e cioè: “Umana cosa è aver compassione agli afflitti”.
La seconda è l’antidoto che Boccaccio trova contro la peste. No, non la fuga dei dieci ragazzi, ma le storie, la scrittura, la bellezza. Quella fu la vera cura: restare umani anche in mezzo al delirio e alla morte.
Che si chiami peste o cecità, la malattia mieterà sempre vittime, e starà a noi sapere come vincerla, facendo tesoro della nostra umanità, che è il vaccino più potente del quale disponiamo.
L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio.
Qui tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.
Fonte: www.illibraio.it