“Con Ovidio”: Nicola Gardini racconta il grande poeta e parla dell’importanza dei classici

di Redazione Il Libraio | 11.05.2017

Dopo il successo di Viva il latino, Nicola Gardini torna in libreria con un nuovo saggio, Con Ovidio (sempre pubblicato da Garzanti)dedicato a uno dei più importanti autori della latinità classica, protagonista di un’esistenza ricca e teorico del gioco amoroso.

Ovidio è uno degli autori classici più letti e fortunati dell’antichità, tanto che la sua fama non ha mai attraversato periodi bui; è noto soprattutto per le Metamorfosi, ma era un autore poliedrico, molto portato per la poesia d’amore, che ha ampiamente teorizzato e praticato.

Anche la sua biografia è avvincente, carica del fascino dell’artista in difficoltà, che grazie alla sua penna raggiunge la gloria; ma la gloria non è destinata a durare e, in seguito a un incidente ancora misterioso, Ovidio finisce esule al limitare dell’impero romano, il confine del mondo allora conosciuto.  In questo libro l’autore molisano, dottore in lettere classiche e professore di letteratura italiana e comparata presso l’Università di Oxford, accompagna il lettore nella ricostruzione dell’esistenza e della personalità di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, un classico che ha ancora molto da dire. 

Per gentile concessione dell’editore su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del libro:

Che cos’è un classico? Semplice. Un classico è un classico, cioè quello che tutti leggono, o hanno letto, o fingono di aver letto; quello che sta su uno scaffale della nostra libreria chissà da quanto e quando, e chissà perché; quello che si trova nelle storie letterarie della scuola; quello che esiste anche senza di me.

Generazioni e generazioni lo fanno esistere da tempo immemorabile. Il classico è cosa di altre epoche, no? Io, dunque, che c’entro? Ma poi, un giorno, una sera, magari una domenica, lo si tira giù dalla libreria, il classico, e si comincia a leggere. E subito si capisce dove si è finiti e dove troppo a lungo ci si è proibiti di andare. Un classico è un castello. Di più: una città. Insomma: una costruzione grande, immensa, che lascia a bocca aperta.

Tuttavia, per quanto accogliente sia il classico che ho tra le mani, per quanti ci siano già passati, generazioni e generazioni, io, qui, sulla mia poltrona, ho la pretesa di entrarci da solo, di esserne lo scopritore. Anzi, in questo castello o città o costruzione immensa io ci sto passando per primo. E ammiro, non faccio che ammirare, quasi stessi assistendo all’inizio della creazione. Prima che un libro o una scrittura o un autore, un “classico” è un modo di pensare e di raccontare il mondo. È il viaggio di un’idea e il materializzarsi di questa in figurazioni varie, perfino difformi, che costituiscono alla fine un universo di sensi e di valori, oltre che l’opera gloriosa di una mente.

Ma quale mente è solo sé stessa? Quale individuo agisce in perfetto isolamento?

Il viaggio dell’idea avviene in compagnia, guadagnando, via via che progredisce, sodali e guide, del presente così come del passato; e questi indicano strade e suggeriscono soste e avventure, dando all’itinerario più direzioni, moltiplicando a ogni passo il numero delle possibili mete. Un classico, insomma, contiene moltitudini, per riprendere la famosa frase di un poeta americano; e questo lo distingue da qualunque altro tipo di scrittore.

Un classico sta nella varietas. Senza varietas non si dà classico, non si dà quel miscuglio di unità e complessità che ne è la prerogativa principale e che impone al lettore di avere sul naso contemporaneamente il microscopio e il cannocchiale. Il classico si costruisce ed esiste variando, e noi lettori abbiamo il compito necessario di capire la varietà, di ripartirla in certe immagini e di ridurre queste a certe metafore unificanti e di riportare le metafore a una matrice originaria. E da lì poi ripartire, ritornare nei meandri dell’opera, con accresciuta felicità, sempre pronti a rifare il tragitto avanti e indietro e convinti di individuare ogni volta nuove derivazioni e direzioni.

Un altro elemento essenziale: il classico sta in un passato lontano. Capirlo comporta anzitutto l’apprendimento e l’accettazione di contesti assai differenti, la cui pretesa somiglianza con i nostri può solo produrre illusioni e falsificazioni. Ma capire che un classico viene da lontano è, alla fine, ancora più che esercizio del senso storico e della capacità di relativizzare qualunque valore, anche quelli che sembrano più assoluti: è esperienza stessa della lontananza. Le parole del classico, che oggi ci parlano da una qualunque edizione economica o scolastica e non sembrano di primo acchito dire niente di straordinario e rischiano di confondersi subito tra i discorsi del nostro mondo audiovisuale, hanno viaggiato per secoli prima di arrivare a noi e hanno affrontato ogni sorta di aggressione.

Ovidio ci è arrivato praticamente intero. Ma molti classici no. Sono stati feriti e menomati e non hanno più l’aspetto originario. Alcuni sono spariti del tutto strada facendo. Quando apriamo una qualunque edizione moderna di un classico, noi non apriamo semplicemente un libro: noi apriamo le braccia a un sopravvissuto. E, leggendo un classico, compiamo il gesto più civile che un essere umano possa compiere: diamo ospitalità allo straniero; gli offriamo la nostra casa e ci mettiamo ad ascoltarlo. E lo straniero non viene senza doni. Fosse anche solo un verso quello che ci resta della sua opera, quel verso è un miracolo della fortuna. Se bussa alla nostra porta, abbiamo il dovere di riceverlo, a qualunque ora del giorno e della notte. Negargli l’ascolto significherebbe favoreggiare quella violenza irrazionale – ma spesso intenzionale – che nei secoli ha disperso i quattro quinti della letteratura antica e che oggi, in vario modo, continua ad agire tra noi e nullificherà, se non ci opponiamo, molte delle nostre cose migliori. Noi dobbiamo opporci alla violenza.

Accogliendo l’antico, faremo simbolicamente resistenza a qualunque sopruso. I beni che provengono dal dare ospitalità sono meravigliosi. Non solo lo straniero è soccorso e salvato e, dunque, molto probabilmente ci resterà amico, ma noi, con lui, diventiamo nuovi. Attraverso lo straniero, nella nostra stessa casa, entriamo in contatto con un mondo che non conoscevamo. E la scoperta di una realtà diversa, oltre a produrre piacere di per sé, ci rende forti attraverso un aumento della conoscenza.

(Continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it