Io faccio parte di quella cerchia di insegnanti forse un po’ squilibrati che credono a quello che diceva Lorenzo Milani: per far amare di più la scuola, non bisogna fare meno scuola, ma più scuola. Certo, lui pensava a questo purché cambiasse radicalmente l’idea che gli studenti ne hanno, e sappiamo come e quanto ci abbia provato.
Sì: se noi riuscissimo a trasformare l’immagine di quell’odioso edificio in qualcosa di positivo, in un posto dove sia possibile anche incontrarsi, fare cose belle e interessanti, se facessimo passare l’idea che lì dentro è possibile perfino udite udite stare bene, forse forse qualcosa cambierebbe.
Per esempio: io nella mia, tanto per provare, ho messo in piedi un piccolo laboratorio musicale-teatrale. Non è il massimo, ci tocca infrattarci in un angolino mentre il personale ATA fa le pulizie di fine anno, ma i ragazzi vengono volentieri, ridono, stanno bene.
Per cui sì, a costo di attirarmi l’odio di buona parte dei miei colleghi: io sono per l’apertura delle scuole anche d’estate, almeno nel mese di luglio, una quindicina di giorni, proprio per mettere in piedi tutte queste cosette qua che magari durante l’anno non si è riusciti a fare.
Obiezione numero uno, sacrosanta: seh, certo, ma sei mai entrato in una scuola italiana d’estate? E ne sei uscito vivo? Lo so, lo so: si crepa dal caldo. Quindi poniamola subito come precondizione: è una cosa che si può fare a patto che ci diano un ambiente vivibile. E no: 35° gradi con il 100% di umidità non sono da considerarsi un ambiente vivibile.
Lati positivi:
1) Avremmo modo di mettere tacere una volta per tutte tutta quella masnada di qualunquisti che dal Pleistocene circa ci rinfacciano i famosi due mesi di vacanza;
2) Riusciremmo a dare a molti ragazzi un’alternativa allo stare tutta la mattina a letto o al cellulare: che una settimana va bene, per riprendersi, ma poi è un attimo che si trasformi in un doppio carpiato dentro un’accidia dell’anima alla lunga dannosa;
3) Faremmo vedere loro che scuola può non essere solo noia e fastidio: si potrebbero fare dei club del libro, laboratori di cucito, suonare strumenti ma anche, per i più volenterosi, prendere e dare una sistemata agli ambienti con dei bei murales sulle pareti o opere di abbellimento. E molte altre cose.
Non ci crederete, ma molti ragazzi hanno bisogno di questi momenti di comunità, e vorrebbero solo che qualcuno gliene desse l’opportunità. Non avete idea di che farebbe bene all’immagine stessa della scuola, alla sua percezione collettiva.
Lati negativi:
1) Costerebbe soldi
2) Costerebbe fatica
3) Costerebbe impegno, soprattutto da parte dello Stato
4) Incontrerebbe la resistenza di molti insegnanti che, non del tutto a torto, chiedono a gran voce di poter staccare, dato che è un dato oggettivo che il nostro lavoro è fra quelli col più alto rischio di burnout.
Insomma: non è una cosa facile da realizzare, ma se si riuscisse a trovare un compromesso fra il nostro sacrosanto diritto a recuperare le energie mentali dissipate in un anno (e solo chi ha provato a stare in una classe sa di cosa sto parlando) e l’idea di fare della scuola qualcosa di aperto anche alla creatività e allo stare insieme, io sarei favorevole.
E voi?
L’AUTORE E IL LIBRO – Enrico Galiano è insegnante e autore della webserie Cose da prof, che ha superato i dieci milioni di visualizzazioni su Facebook; il suo motto del buon insegnate è: «Non ti ascoltano, se tu per primo non li ascolti». Eppure cadiamo felici (Garzanti) è il suo romanzo d’esordio, la storia di una ragazza di nome Gioia, che colleziona parole intraducibili e si innamora di Lo che, nascosto dal cappuccio della felpa, gioca da solo a freccette in un bar chiuso. Quando i due giovani si innamorano, Lo sparisce nel nulla e starà a Gioia scoprire cosa gli è successo.
Fonte: www.illibraio.it