“Il cinque maggio”: analisi della poesia più celebre di Alessandro Manzoni

di Eva Luna Mascolino | 25.04.2023

Longwood House, Sant’Elena: è il 1821 e le sorti dell’Europa sono ancora appese a un filo, dopo il Congresso di Vienna del 1815, quando alle 17:49 del cinque maggio esala l’ultimo respiro Napoleone Bonaparte (1769-1821), esule in un scoglio sperduto dell’oceano Atlantico e ormai sconfitto non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche e soprattutto nelle sue precarie condizioni di salute.

Il primo a raccontarlo, il 4 luglio dello stesso anno, fu il giornale inglese The Statesman, che pur parlandone a ben due mesi dall’accaduto, diffuse per la prima volta in Europa la notizia, permettendole poi di arrivare a macchia d’olio nel resto del continente.

 

Napoleone a Sant'Elena, in un'incisione che illustra una riedizione dell'ode nel 1881
Napoleone a Sant’Elena, in un’incisione che illustra una riedizione dell’ode nel 1881

“Paolina era sopraffatta, Ortensia e i suoi cari erano rattristati e Letizia esitava a chiedere la restituzione delle spoglie del figlio per timore degli alti costi”, riferisce lo storico Thierry Lentz (1959) nell’opera Bonaparte n’est plus! (Editions Perrin), mentre nelle Mémoires (Mercure de France) della contessa de Boigne (1781-1866) leggiamo:

“Uomini del popolo, piccoli borghesi si incontravano per strada stringendosi la mano piangendo, ma la massa dell’opinione pubblica, schierata con la monarchia, felice della pace e della prosperità ritrovata, rimase inerte”.

Le popolazioni del mondo erano dopotutto in fermento, e la figura di Napoleone sembrava già appartenere a un passato che – per quanto prossimo – non aveva più grandi ripercussioni sulla vita di ogni giorno, né tantomeno sui destini generali o sugli equilibri internazionali.

Nonostante questo, un illustre scrittore italiano del calibro di Alessandro Manzoni (1785-1873), dedicò alla sua scomparsa quello che sarebbe presto diventato il suo componimento in versi più famoso, intitolato proprio Il cinque maggio.

Il cinque maggio di Manzoni: storia e curiosità

Ode di argomento storico contenuta nel volume Tutte le poesie (Garzanti, introduzione di Pietro Gibellini, note e premesse di Sergio Blazina), Il cinque maggio venne scritto di getto da Manzoni subito dopo aver appreso della morte di Napoleone leggendo la Gazzetta di Milano del 16 luglio 1821.

Anche se l’autore era solito comporre con pazienza e attenzione le sue opere, questa poesia fu eccezionalmente il risultato di un profondo stato di sgomento e di ispirazione che durò tre o quattro giorni, a seguito dei quali la stesura dell’ode fu la stessa che Manzoni provò subito a pubblicare.

Copertina del libro Tutte le poesie di Alessandro Manzoni

Purtroppo, però, sebbene nella poesia non venisse mai nominato in modo esplicito Napoleone Bonaparte, la censura austriaca preferì vietarne la pubblicazione. L’ode cominciò allora a circolare sottobanco, diventando popolare nei circoli milanesi e arrivando perfino all’estero, dove Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) la tradusse in tedesco nel 1822, definendola senza mezzi termini “l’ode del secolo”.

In Italia la prima pubblicazione risale al 1823, in Piemonte, anche se intanto già si era iniziato a discutere del suo contenuto, che pur non essendo basato sulle simpatie di Manzoni per Napoleone (del quale contestava le ambizioni personalistiche e tiranniche) suscitò l’interesse collettivo.

Il messaggio che veicolava era infatti evocativo e complesso, e stupiva per di più l’equilibrio concettuale e retorico della sua struttura circolare, che faceva aprire il componimento con il celeberrimo Ei fu per farlo poi concludere con posò, ovvero due bisillabi accentati.

Ma veniamo appunto più nel dettaglio alla poesia…

Il cinque maggio di Manzoni: analisi e parafrasi

Il cinque maggio è un’ode di diciotto strofe di sei settenari ciascuna, con schema di rime ABCBDE e che, fra le sue figure retoriche più ricorrenti, include la sineddoche, l’anastrofe e l’antitesi.

Per la parafrasi completa de Il cinque maggio (a cura di Gigi Cavalli), si rimanda al sito della Treccani.

Se, in linea più generale, noi iniziamo concentrandoci sul titolo, noteremo che Manzoni sceglie di parlare del cinque maggio per antonomasia, di un cinque maggio che a suo avviso resterà nella storia, e che effettivamente ancora oggi associamo d’istinto alla scomparsa di Napoleone.

L’intento dell’autore è quello di partire dalle imprese eroiche compiute in vita dal condottiero francese, con i suoi successi e le sue cadute, per poi approdare a una riflessione di più ampio respiro, nel quale trovano spazio da una parte la brevità dell’esistenza umana e, dall’altra parte, la caducità di ogni nostra azione, che da un momento all’altro può essere cancellata e resa vana dal destino.

Per Manzoni, però, non si tratta in verità di un avvenimento dettato dal Fato, né di una casualità che possiamo liquidare con poche parole di commiato, bensì della traccia tangibile di una provvidenza divina, una volontà superiore “che atterra e suscita / che affanna e che consola“, determinando così gli eventi umani.

Nella visione cattolica dell’intellettuale milanese, infatti, la presenza di Dio è indispensabile nelle alterne vicende terrestri, e non si limita a quella di un motore immobile di eco aristotelica, costituendosi piuttosto come un’entità consapevole di ogni risvolto storico, che si serve di noi e dei piccoli e grandi episodi di ogni giorno per portare avanti un disegno più grande, del quale non comprendiamo fino in fondo il significato ma che è chiaro al nostro “Massimo Fattor“.

Descrivere la grandezza di Napoleone e realizzare con quanta velocità l’influenza che ha avuto nel periodo a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo si stia allontanando sempre di più oltre l’orizzonte, quindi, è l’occasione per ragionare su quanto maggiore e quanto più imperscrutabile sia la grandezza divina.

Dopodiché, di fronte a questo, l’autore immagina che i suoi ultimi giorni di vita passati presso l’isola di Sant’Elena siano stati votati alla preghiera e all’introspezione, in un estremo tentativo di avvicinarsi al Creatore e di ritrovare la pace spirituale, al di là del bene e del male che può aver compiuto sulla Terra.

Come dicevamo, d’altronde, lo stesso Manzoni si era dimostrato scettico nei confronti della dittatura napoleonica e, pur ritenendo giusti gli ideali che avevano dato il via alla Rivoluzione francese, non condivideva le mire espansionistiche e di dominio di Bonaparte, evitando comunque di esprimere severi giudizi morali sul suo operato o di osannarlo a qualunque costo, lasciando “ai posteri / l’ardua sentenza“.

Ciò che interessa al poeta, infatti, è l’uomo e non il politico, il fedele e non l’oppressore, scomparso probabilmente – come già si vociferava all’epoca – da buon cristiano e diventato in ogni caso un pezzo importante del progetto di Dio, “che volle in lui / del creator suo spirito / più vasta orma stampar“.

Una trattazione che, in altre parole, oscilla fra l’etica e la storia, e che riprende i temi sviluppati nello stesso periodo dall’autore sia nelle tragedie come Il conte di Carmagnola (Garzanti, introduzione di Pietro Gibellini, note e premesse di Sergio Blazina) e l’Adelchi (Garzanti, introduzione di Pietro Gibellini, note e premesse di Sergio Blazina) sia nella prima stesura de I promessi sposi (Garzanti, introduzione e note di Vittorio Spinazzola), che verrà poi pubblicato nella sua edizione definitiva tra il novembre del 1840 e il novembre del 1842.

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Fonte: www.illibraio.it