Dalla pubblicità al giornalismo, dall’insegnamento alla divulgazione, Annamaria Testa (nella foto di Grazia Lissi) ha il dono di un ingegno multiforme ma anche professionalità e competenza che mette generosamente a disposizione di chi ne ha bisogno sul suo blog Nuovo e Utile – Teorie e pratiche della creatività, negli articoli pubblicati da Internazionale e nei tanti saggi scritti a partire dagli anni Ottanta.
La sua ultima fatica, Il coltellino svizzero-Capirsi, immaginare, decidere e comunicare meglio in un mondo che cambia (Garzanti) sistematizza e presenta al lettore una selezione di articoli che indagano da più punti di vista la percezione individuale e le relazioni tra individui, dentro e fuori dai social network, andando a sfiorare la psicologia e la neuropsichiatria.
Un lavoro che parte da una materia frammentaria ed eterogenea per andare a ricomporsi, nelle mani del lettore, come un insieme ordinato, una catena che si muove lungo il filo rosso della metacognizione e che, per dirla con le parole dell’autrice, vuole essere un insieme di attrezzi utili per qualsiasi attività e a disposizione di tutti.
ilLibraio.it ha intervistato l’autrice.
Nell’introduzione lei scrive che il Coltellino svizzero ha l’ambizione di “rendersi utile senza occupare troppo spazio”, vuole approfondire questo concetto di utilità?
“Per farlo devo fare un passo indietro. Il paradigma della creatività è stato ampiamente discusso nell’arco di tutto il secolo scorso e all’inizio di questo, e la definizione che ha avuto più fortuna riecheggia quella che diede Poincaré nel suo libro Scienza e metodo del 1906. Parlando di come nascono le scoperte matematiche, Poincaré spiega che la mente vaga in un mare di idee e di elementi alla ricerca di nuove connessioni, ma solo poche di queste connessioni (di solito tra elementi all’apparenza molto distanti tra loro) sono utili, cioè inedite e appropriate. Ecco: ciò che è inedito e appropriato e risolve un problema in maniera nuova è ciò che può essere definito creativo. E il concetto di novità, unito ai concetti di appropriatezza e di utilità, si ritrova nelle definizioni più contemporanee di creatività. L’idea dell’essere utile, dell’essere utilizzabile, dell’essere appropriato e servire a fare qualcosa, secondo me è interessante e fertile, e anche generosa. Quindi, quando scrivo con un intento divulgativo, mi pongo l’obiettivo di cercare dei temi e degli argomenti, o di offrire delle chiavi di lettura, che possano essere utili ai lettori, appropriate a risolvere un problema, a essere applicate a qualche piccolo frammento dell’esperienza”.
Oggi in Italia le sembra che la discussione sulla creatività sia di particolare rilevanza?
“La discussione sulla creatività dovrebbe essere cruciale in questi tempi frenetici e complessi, in cui ci troviamo di fronte sfide enormi, inedite, e dovremmo inventarci modalità nuove per affrontarle in maniera positiva e produttiva. Pensiamo alle grandi sfide globali, che riguardano il clima, l’equità sociale, la salute, l’istruzione, le nuove generazioni, la gestione delle diseguaglianze. L’unica cosa che può avviarci verso un futuro che non sia catastrofico o distopico è proprio la nostra capacità di inventare soluzioni appropriate. Per questo il dibattito sulla creatività dovrebbe essere vivacissimo, ma in Italia se ne perde traccia, ed è un peccato”.
Perché questa situazione?
“In Italia la parola creatività è stata a lungo fraintesa, considerata nella sua accezione più frivola e distorta come un insieme di espedienti, di furbizie, di soluzioni raffazzonate. Invece la creatività, intesa come facoltà dell’ingegno umano di scoprire nuove soluzioni o leggi della natura che prima erano ignote, è centrale nello sviluppo della civilizzazione. Anni fa ho scritto un saggio, La trama lucente, che affronta proprio questi temi e cerca di fare un lavoro di sensibilizzazione e di restituzione di senso della parola ‘creatività'”.
Come docente qual è il messaggio più importante che ha veicolato ai suoi studenti?
“Ho sempre dedicato una parte della prima lezione di ogni anno a raccontare il senso e il significato della parola metacognizione, tanto importante quanto poco utilizzata. Metacognizione significa pensare il pensiero, pensare al nostro modo di pensare, capire come pensiamo, perché solo se ci rendiamo conto delle nostre dinamiche mentali riusciamo a orientarle in maniera utile e produttiva per uscire da certi meccanismi ricorsivi, da certi processi come i bias cognitivi, che sono degli errori di percezione. Basta riflettere sulla propensione che abbiamo a fraintendere, su quante volte ci lasciamo fuorviare da un’informazione senza andare a controllare da dove viene, come nasce, come mai ci ha colpito. Anche le emozioni possono influire sulla nostra percezione e, quindi, sul nostro pensiero. Il grande invito che ho sempre fatto agli studenti, anno dopo anno, è: pensate a come pensate”.
Uno dei concetti cardine che emergono dal Coltellino svizzero è la consapevolezza. Consapevolezza di sé ma anche consapevolezza delle modalità con cui si svolgono le relazioni sociali.
“Credo che sia la sottotrama di tutta questa lunga serie di spunti di ragionamento. In questi tempi veloci, in cui la nostra attenzione è diventata pura merce, una merce ambita, che peraltro noi cediamo gratuitamente e che viene sfruttata economicamente, è strategico riportare la nostra attenzione, preziosissima, su quanto succede, capire come accadono certe cose, come funzionano certe dinamiche. E consente anche di stare meglio con se stessi e con gli altri”.
Com’è nata l’idea di sistematizzare questo insieme di articoli in un unico contenitore?
“Gli articoli su Internazionale hanno un pubblico molto affezionato e alcuni sono stati letti, condivisi, rilanciati, in modo del tutto sorprendente. Per esempio, l’articolo sulla sindrome dell’impostore, un argomento di cui in Italia non si è parlato tanto, ha avuto 40.000 condivisioni sul mio blog, Nuovo e Utile, e non so quante su Internazionale. Credo ci fosse bisogno di questo tipo di materiale. E, anche se gli argomenti degli articoli che sono scivolati dentro il Coltellino svizzero sembrano molto eterogenei, in realtà riguardano un numero ristretto di fenomeni, osservati però da diversi punti di vista: della comunicazione, della percezione, della relazione tra persone, del pensiero. Mi sono accorta di essere tornata su certi temi anche a distanza di anni, riprendendo aggiungendo, modificando, articolando discorsi. La cosa più faticosa, in un lavoro del genere, non è tanto costruire un discorso sensato, quanto riuscire a identificare gli argomenti da approfondire. Una volta scritte, le cose acquistano evidenza, ma riconoscere l’esistenza di un fenomeno o di un bisogno e trasformarla in un racconto non è banale. Il coltellino svizzero è un libro leggero con delle basi solide”.
Un libro che vuole anche essere in qualche modo utile al lettore.
“Prima abbiamo parlato di metacognizione. Al concetto di metacognizione si affianca quello di metacompetenza: essere in grado di comprendere ciò che si legge e sapersi spiegare quando si scrive. Ecco, le metacompetenze, che riguardano la comunicazione e la capacità di comprendere se stessi in relazione all’altro, servono in realtà in ogni frangente della vita, al parrucchiere come al direttore marketing. Tutti gli articoli presenti nel Coltellino svizzero fanno riferimento a una metacompetenza, dall’attitudine di farsi domande alla capacità di sviluppare autocontrollo, dalla capacità di contrastare le notizie false a quella di cercare le fonti. Da questo punto di vista, Il coltellino svizzero rappresenta un insieme di attrezzi utili per qualsiasi attività”.
In particolare nella seconda parte del libro, dà molto spazio a internet e ai social media. Che percezione ha delle relazioni sociali sui social media?
“Che non siamo ancora abbastanza attrezzati per gestirli correttamente. L’evoluzione umana va lentissima, le nostre facoltà cognitive sono più o meno le stesse di duemila anni fa, per questo riusciamo a immedesimarci quando leggiamo Saffo o Shakespeare, mentre la ricerca tecnologica va molto più veloce. E la risposta a questo problema non può essere la specializzazione, che fa perdere lo sguardo d’insieme e quindi le dimensioni reali del fenomeno (infatti le aziende solitamente cercano persone che abbiano più competenze generali che specifiche). Nel Coltellino svizzero non ho inserito articoli legati alla stretta attualità, perché erano già stati superati dagli eventi. Per esempio, in alcuni articoli avevo parlato della profilazione, perché è importante e perché è pericolosa. Viviamo in tempi molto veloci, Facebook è diventato importante al di là delle previsioni di Zuckerberg ed è uno strumento su cui passano tre quarti della disinformazione mondiale, la politica si è spostata su Twitter, le interazioni di molte persone sono guidate da algoritmi che guidano la loro attenzione”.
È necessaria molta attenzione.
“Internet non è un luogo neutrale, è un luogo di infinite potenzialità. Io ho un indirizzo email che risale ai primi anni Novanta, ho un account Google vecchissimo, sono in rete da tanto tempo, però, non essendo una nativa digitale, mi porto dietro alcune cautele e alcune malizie che provengono da un’esperienza precedente. Oggi delle ricerche americane ci dicono che una percentuale molto alta di studenti delle superiori non distingue fra articoli e pubblicità online, o che non si interroga sulla fonte delle notizie. È preoccupante che le persone non sappiano che le loro abitudini di ricerca influenzano ciò che, poi, Google o gli altri motori di ricerca propongono loro, e che ritengano neutra e neutrale una proposta che neutrale non è. Adoro la rete, è un mondo pieno di potenzialità, ma per usarla servono competenze che non si insegnano a scuola e che dovrebbero essere a disposizione di tutti”.
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Fonte: www.illibraio.it