La scrittura come vocazione: i libri di Sigrid Nunez, autrice di “L’amico fedele”

di Elena Asquini | 23.07.2019

“Sono diventata una scrittrice non perché fossi alla ricerca di un senso di comunità, ma piuttosto perché potevo farlo in solitudine, nascosta nella mia stanza. È una fortuna aver scoperto che scrivere libri ha reso possibile il miracolo, essere rimossi dal mondo e farne parte, allo stesso tempo”. Con queste parole, Sigrid Nunez (nata a New York nel 1951) ha accettato il National Book Award per la fiction, assegnatole per il suo ultimo romanzo, The Friend, uscito l’anno scorso negli Stati Uniti, dove è stato accolto dall’unanime plauso della critica, e in arrivo in Italia il 26 settembre, per Garzanti, col titolo L’amico fedele, nella traduzione di Stefano Beretta.

Sigrid Nunez L'amico fedele garzanti copertina

Leggendolo, L’amico fedele, crea esattamente questa impressione: la sensazione di essere stati rimossi dal mondo e, allo stesso tempo, farne parte, come osservandolo da una finestra. È ciò che si prova, o possiamo immaginare si provi, nel leggere una lunga lettera attesa da tempo: nel momento in cui arriva tra le nostre mani, ci ritagliamo il tempo per lasciarci completamente assorbire dalla lettura, rimossi dal mondo circostante e immersi a capofitto in tutto ciò che la lettera contiene. Ed è proprio l’effetto che l’autrice voleva creare, come racconta in un’intervista a LitHub: “Volevo che desse l’impressione di una lettera. Volevo quei toni intimi e urgenti – l’idea di parlare a qualcuno sottovoce”.

Sigrid Nunez L'amico fedele Garzanti

Amore. Amicizia. Affetto. Nostalgia. Lettura e scrittura. Riferimenti letterari. Lutto. Un cane gigantesco di nome Apollo. Elaborazione del lutto. La scena letteraria newyorkese. Il suicidio. La società newyorkese. Altri riferimenti letterari. La complessità dei rapporti emotivi che si sviluppano tra uomini e donne. Sono tutti temi ben presenti nella lunga lettera, quasi una confessione, che la protagonista rivolge all’amico cui è intitolato il libro, un uomo che è stato suo insegnate di scrittura, suo amante, suo mentore, e infine confidente e amico, per lungo tempo, fino al giorno in cui, inaspettatamente, si è tolto la vita, saltando dal Golden Gate Bridge.

Il romanzo si sviluppa come un tentativo di elaborazione del lutto da parte di una voce narrante in prima persona che si rivolge all’amico con un tu insistente – tu facevi, eri solito dire, ti ricordi quella volta che… – nel tentativo di tenere in vita il ricordo della persona e, allo stesso tempo, metabolizzare il dolore della sua perdita. La narrazione procede in un continuo fluire di ricordi e spaccati di vita quotidiana, citazioni letterarie che innescano riflessioni più ampie, per poi tornare alla quotidianità, agli studenti nella classe di scrittura, i cui interventi scatenano ulteriori considerazioni sulla letteratura, che a loro volta fanno emergere altri ricordi dell’amico perduto e così via, in una spirale di pensieri e libere associazioni che si inseguono, interrompono, divagano e ricorrono.

Veniamo così a sapere, tra un funerale e una conversazione in un bar, che ‘tu’ era un seduttore seriale,abituato  a intessere relazioni più o meno importanti con le sue studentesse del corso di scrittura, nella convinzione che la classe fosse “il luogo più erotico al mondo”. La voce narrante si limita a constatare, non senza un velo di malinconia, che “tu eri, a un livello quasi patologico, incapace di stare da solo”, ma allo stesso tempo non si trattiene dall’esprimere sostegno nei confronti delle studentesse che non accettano di essere chiamate ‘cara’ in classe, né si esime dal riportare il fastidio che prova nell’assistere a questo tipo di atteggiamenti. Ma l’assenza di un’esplicita condanna morale porta una giornalista del Guardian a scrivere che “il romanzo della Nunez potrebbe essere letto come una critica del movimento #MeToo”, mentre, allo stesso tempo, sulla New York Review of Books si legge una critica impietosa del personaggio maschile, professore di una certa età, che sfrutta la sua posizione per racimolare donne tanto più giovani di lui. Le due letture, agli estremi opposti dello spettro, sembrano giustificate dall’ambiguità stessa della narratrice e protagonista, che non giudica – come potrebbe, quando lei stessa ne era stata preda a suo tempo? – né giustifica il comportamento dell’uomo, limitandosi piuttosto a offrire al lettore il ritratto sincero di un personaggio imperfetto e, di fatto, profondamente umano.

Nel frattempo, in un modo o nell’altro e, da principio, senza volerlo, la protagonista si ritrova ad adottare il cane, ormai orfano, dell’amico morto, un gigantesco alano; i due condividono il piccolo appartamento di lei e finiscono con lo sviluppare un rapporto implicitamente basato sulla condivisione del dolore causato dalla perdita dell’amico e padrone: tra una passeggiata al parco e una lettura ad alta voce tra le mura domestiche, la narratrice sembra accorgersi che il cane è l’unica creatura con cui riesce a condividere e affrontare il lutto, mentre il tempo passa, privo di qualsiasi scansione temporale.

Sigrid Nunez libri l'amico fedele

Melanconico nella rievocazione di ricordi remoti e nel suo incessante arrovellarsi su piccoli aspetti della vita quotidiana, della morte, del suicidio e della letteratura, L’amico fedele è anche spiccatamente divertente nei toni ironici, e talvolta sarcastici, volti a descrivere la New York vissuta ogni giorno dalla protagonista, in particolare per quanto riguarda la classe intellettuale della grande mela; “l’affresco della scena letteraria è crudele nei ritratti caratterizzati dalla frustrazione, la gelosia, la meschinità”, scrive Antonio Monda su La Repubblica.

“Scherzi? Mi chiede un amico che alleva capre in una fattoria fuori città e produce un ottimo formaggio. Il blocco dello scrittore è la cosa migliore che mi sia mai successa”. Frasi come questa, frecciatine come questa, costellano il romanzo, puntando i riflettori sulla mercificazione della letteratura e del ruolo dello scrittore, idealizzati invece dalla protagonista, che non si riconosce negli atteggiamenti dei colleghi che la circondano.

Lungi dall’essere il primo libro di Sigrid Nunez, L’amico fedele è tuttavia quello in cui si intravede con più chiarezza la figura dell’autrice nella voce narrante: scrittrice, insegnate di scrittura, residente a New York e schiva nei confronti degli eventi pubblici, domestica, amante della vita tranquilla, circondata dai libri e, in un certo senso, vecchio stampo, rispetto al mondo letterario contemporaneo. Sigrid Nunez “è quel tipo di scrittrice che la protagonista del libro teme non esista più – quella che vede la scrittura come una vocazione sacra piuttosto che un esercizio di promozione e brandizzazione di se stessi”, si legge sul New York Times; ed è proprio così: della sua vita si sa molto poco, essendo molto riservata, e il modo migliore per conoscerla è attraverso i suoi libri.

Sigrid Nunez libri A Feather on the Breath of God

Il suo primo romanzo, A Feather on the Breath of God (1995), trae ampiamente ispirazione dalla sua biografia, in particolare dalla sua infanzia. Il libro vede come protagonista la figlia di una donna tedesca e un uomo metà cinese metà panamense, che si sono conosciuti nella Germania reduce dalla seconda guerra mondiale, insieme poi si sono trasferiti a New York, dove nasce e cresce la loro bambina, nelle case popolari di Brooklyn, tra gli anni ’50 e ’60. Tutto questo, che rispecchia effettivamente la vita dell’autrice, viene affidato a una protagonista amante della lettura e della fuga che i libri le offrono, ma altrettanto affascinata dalle storie dei suoi genitori, intensamente nostalgica del suo paese la madre e silenziosamente introverso il padre. Ironico e allo stesso tempo disilluso nei confronti delle aspettative della coppia di immigrati, il racconto segue la figlia, alter ego dell’autrice, che si rifugia nel balletto, cadendo nell’anoressia, alla ricerca di un posto al mondo che sia tutto suo.

Sigrid Nunez libri The last of her kind

Ambientato negli anni delle contestazioni giovanili, dell’emergere delle controculture e della questione razziale negli Stati Uniti, The Last of Her Kind (2006) ruota intorno a una straordinaria, quanto improbabile, amicizia tra due giovani donne, che si ritrovano a dividere una stanza nel loro primo anno al Barnard College, nel 1968; lo stesso college frequentato proprio in quegli anni dall’autrice. Georgette George, voce narrante, di famiglia povera, spera che l’università le permetta di lasciarsi alle spalle le difficili condizioni in cui è cresciuta, mentre la sua compagna, Ann Drayton, di famiglia decisamente benestante, è un’idealista sfrenata, al punto da invidiare le origini di Georgette. L’amicizia tra le due ragazze diventa il pretesto per esplorare quegli anni di grandi cambiamenti negli Stati Uniti, che si rifletteranno sulla vita delle due donne, stravolgendole per sempre.

Altrettanto significativo per conoscere meglio la scrittrice è Sempre Susan. A memoir of Susan Sontag (2011), un libro dedicato a una delle più straordinarie figure intellettuali del Novecento americano, la scrittrice, pensatrice e attivista politica statunitense Susan Sontag. Le due donne si conobbero negli anni ’70, quando la Nunez aveva appena finito gli studi e la Sontag, recentemente operata di cancro, cercava un’assistente che l’aiutasse a gestire la corrispondenza, e assunse Sigrid Nunez. Anni dopo, Nunez avrebbe sostenuto che per una giovane donna che desiderava ardentemente diventare una scrittrice, incontrare Susan Sontag fu “uno dei più grandi colpi di fortuna della mia vita”.

Sigrid Nunez libri Sempre Susan a memoir of Susan Sontag

Il loro rapporto, nel corso del tempo, si sviluppò ben oltre i confini lavorativi, l’assistente divenne un’allieva, una confidente e perfino un’amica, sebbene la datrice di lavoro rimanesse una “mentore nata”, descritta nel libro come una donna naturalmente portata a formare gli altri; in quel periodo di intensa vicinanza, Sigrid Nunez conobbe David Reiff, il figlio della Sontag, con il quale ebbe una lunga relazione, che avvicinò ancora di più le due donne, fino a portarle a convivere sotto lo stesso tetto quando la Nunez si trasferì nell’appartamento di madre e figlio, una convivenza non priva di intoppi ma che, tuttavia, segnò profondamente l’aspirante scrittrice. Il rapporto con Susan Sontag e quel periodo trascorso sotto lo stesso tetto sono il cuore pulsante del memoir Sempre Susan, un testo commovente nei toni di sincera gratitudine e affetto con cui l’autrice tratteggia una figura intellettualmente fondamentale per lei, ma ancora più importante sul piano umano.

Tra le altre opere di Sigrid Nunez, che comprendono anche racconti e saggi, non si può non menzionare Mitz: The Marmosette of Bloomsbury (1998), un ritratto della coppia letteraria composta da Virginia e Leonard Woolf, visti attraverso gli occhi di Mitz, la loro bertuccia da compagnia, e Salvation City (2010), una narrazione innescata da una grave epidemia e il suo unico lavoro con un punto di vista maschile. Ma sebbene l’autrice e i suoi romanzi siano ancora poco conosciuti in Italia, Sigrid Nunez è un nome ben noto negli Stati Uniti: oltre a romanzi, saggi e racconti, collabora con diverse testate, come il New York Times, il Wall Street Journal, il New Yorker e la Paris Review of Books, ha insegnato alla Columbia University, a Princeton, alla Boston University, e i suoi lavori sono comparsi in diverse antologie.

Alla soglia dei sessantanove anni, vive nello stesso appartamento vicino a Union Square sin dagli anni ’80; “Non ho mai avuto un vero lavoro – sostiene – vivo da sempre come uno studente appena laureato”. Non è sposata e non ha figli, il che le permette di dedicarsi completamente a quelle che sono le sue vere passioni, la lettura e la scrittura. La sera in cui ha ricevuto il National Book Award appariva commossa dal premio assegnatole, ma anche schiva nei confronti dei riflettori e non proprio entusiasta di trovarsi su un palcoscenico; si è detta “fortunata per aver avuto modo di imparare quello che intendeva Alan Bennett, quando diceva che nulla è grave per uno scrittore quanto lo è per gli altri, perché per quanto terribile può sempre tornare utile”.

Fonte: www.illibraio.it