Ogni anno a San Pietroburgo, nel periodo che va da fine maggio a inizio luglio, si può assistere al fenomeno delle cosiddette notti bianche, durante il quale il sole rimane poco più basso dell’orizzonte per più ore del solito, prolungando la luce del tramonto fino a oltre le dieci della sera.
Ed è proprio in questo contesto, così suggestivo e poetico, che nel 1848 un giovane Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881) ambientava il racconto Le notti bianche (nella foto l’edizione Garzanti, tradotta da Luigi Vittorio Nadai), un piccolo grande classico della letteratura – peraltro riscoperto nel corso del 2024 anche dalle nuove generazioni grazie ai social network, e in particolare a TikTok, la cui community del #BookTok lo ha portato a diventare uno dei libri più letti dell’anno nel Regno Unito e non solo (sono sempre numerosi, sulla piattaforma, anche i video di lettrici e lettori italiani).

Grazie anche alla sua brevità e al suo marcato lirismo, infatti, l’opera sembra essere particolarmente in linea con la sensibilità della Generazione Z, alla ricerca di storie introspettive e coinvolgenti, che trattino grandi temi esistenziali risultando al tempo stesso accessibili e toccanti.
Ma di che cosa parla questo testo tanto profondo, attuale e significativo? Scopriamolo (o riscopriamolo) insieme…
Le notti bianche, o l’altro volto del Romanticismo
Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore.
Giovane, inquieto, pieno di ideali. Ma pure instabile, solitario, tendente alle fantasticherie: il protagonista de Le notti bianche incarna per molti aspetti l’eroe romantico della letteratura europea del primo Ottocento, e ci viene presentato semplicemente come il sognatore, senza che ne venga indicato il nome.
Fin dalle prime pagine scopriamo peraltro che è un flâneur abituato a passeggiare di notte fra le vie di Pietroburgo, osservando la gente intorno a sé ma evitando di legarsi sul serio a qualcuno: pensa di avere davanti un grande avvenire, però al tempo stesso ha paura di esporsi e di creare dei rapporti stabili, e preferisce immergersi nelle sue defilate meditazioni filosofiche.
Quando, però, si imbatte in una diciassettenne di nome Nasten’ka, allontanando da lei un passante inopportuno e cercando di capire come mai stia piangendo, si rende conto di avere appena superato la barriera invisibile che frappone di solito fra sé e il mondo, e si lascia andare a una conversazione intima ed emozionata con la giovane, a cui propone quindi di reincontrarsi.
Ed è a questo punto che Dostoevskij ci stupisce, facendoci intuire che non siamo di fronte al classico intreccio di epoca romantica. Sì, perché Nasten’ka accetta di rivedere il sognatore a una sola condizione: che le prometta di non innamorarsi di lei e di restarle soltanto amico…
L’archetipo del Sognatore
Sognerò di voi l’intera notte, l’intera settimana, tutto l’anno. Verrò immancabilmente qui domani, proprio qui, in questo stesso punto, proprio a quest’ora e sarò felice di ricordare il giorno passato…
Qui comincia allora un viaggio dell’eroe fra i più travolgenti della letteratura russa: il protagonista accetta, ma già durante la seconda notte in cui incontra Nasten’ka capisce che sta venendo meno alla parola data, seppure involontariamente.
Cerca di controllarsi con dolcezza e timore, provando a rimanere accanto alla sua giovane musa senza risultare invadente, e si trasforma così nell’archetipo del Sognatore per come lo intendiamo oggi, per di più segnato dalla croce di un amore non corrisposto, che comunque non lo porta a scoraggiarsi né a rinunciare al proprio spessore morale.
Non per niente, è lui ad aiutare Nasten’ka a chiedere per iscritto un appuntamento all’amato che attende già da un anno, quel bell’inquilino della sua cieca e dispotica nonna che si era trasferito temporaneamente a Mosca con l’obiettivo di fare fortuna e di chiederla poi in sposa, e che a quanto pare è appena tornato in città.
L’indomani, però, nel momento in cui l’uomo non si presenta all’orario concordato, il sognatore non riesce a trattenersi e dice a Nasten’ka ciò che prova per lei, intuendo che il loro spirito affine potrebbe strapparli via dalla misera vita quotidiana a cui sono relegati, ora che anche lei si sente sola, smarrita e in balia della cattiveria di sua nonna. Una visione delle cose dettata ancora una volta dalla sua indole idealista.
Il tema dell’escapismo ne Le notti bianche
Voi forse chiedete cosa sogna? A che pro chiederlo! Ma tutto… il ruolo del poeta, dapprima misconosciuto e poi incoronato, l’amicizia con Hoffmann, un ruolo eroico durante la presa di Kazan, […] Cleopatra e i suoi amanti, il proprio angoletto, e accanto una cara creatura che vi ascolta, in una sera d’inverno, con la boccuccia e gli occhietti spalancati come voi ora state ascoltando me.
Nasten’ka inizialmente accetta, convincendosi del fatto che – una volta superata la sua cocente delusione amorosa – potrà sviluppare per il protagonista de Le notti bianche il più tenero e genuino dei sentimenti. E tuttavia i progetti a cui i due ipotizzano di dedicarsi in futuro lasciano presto il posto a un ribaltamento drammatico e definitivo.
Durante la quarta notte che il sognatore passa in compagnia della giovane, la coppia incrocia per strada l’innamorato di lei, che le confessa di amarla ancora e con cui Nasten’ka decide dunque di allontanarsi per sempre, scusandosi poi con il sognatore per averlo ferito e dimostrandoci che il corso degli eventi è sempre imprevedibile, e spesso diverso dalle nostre aspettative.
Se Nasten’ka, oltretutto, è fortemente ancorata alla realtà e alla sua dimensione più pragmatica, al punto da inseguire a qualunque costo la felicità a cui agognava, il sognatore rivendica fin da subito la sua tendenza all’escapismo, che lo porta a conoscere ciò che lo circonda solo attraverso i libri e l’immaginazione, sottovalutando la complessità delle relazioni umane e rintanandosi in una dimensione più onirica dell’esistenza.
Di conseguenza, il suo destino è quello di assistere alla débacle delle illusioni di cui si è nutrito, incapace com’è di uscire dal proprio guscio perfino quando, sullo sfondo, un nuovo giorno sta prendendo il posto delle notti bianche (le quali nel testo simboleggiano il miscuglio di sogni e realtà che ottenebra la mente del personaggio).
Un monito alle anime solitarie
Nel frattempo senti rumoreggiare e turbinare in un vortice vitale una folla di gente intorno a te, senti, vedi la gente vivere, – vivere nella realtà, vedi che la vita per loro non è proibita, che la loro vita non si dilegua come un sogno, come una visione, che la loro vita si rinnova di continuo, è di continuo giovane e nessun momento è simile ad un altro, mentre è triste e monotona fino alla trivialità la timorosa fantasia, schiava dell’ombra e del pensiero.
Un minuto intero di beatitudine non è forse abbastanza per colmare tutta la vita di un uomo?, prova quindi a chiedersi il protagonista de Le notti bianche nell’epilogo del racconto. Ma l’amaro isolamento in cui verserà negli anni a venire è già di per sé una risposta negativa alla sua domanda.
Dopo aver intravisto nel futuro con Nasten’ka una possibilità di salvezza, infatti, il sognatore potrebbe accettare che la sua fantasia si sia rivelata fragile, fallace, quasi folle. Invece, non avendo intenzione di prendere in mano le redini della propria vita, ripiomba nel suo immobilismo esistenziale, come intrappolato in una dimensione parallela che ha costruito su misura per sé stesso, e da cui non può o non vuole affrancarsi.
Con una sintassi sempre più febbrile e ridondante, basata quasi sull’oralità, Dostoevskij ci fa perciò prendere congedo dal protagonista de Le notti bianche dipingendolo come un uomo sempre più piccolo e smarrito in una metropoli sempre più grande, che non trova alcun rimedio alla solitudine.
E la compassione che l’autore ci spinge a provare per lui ci sprona a non seguire il suo esempio e a calcare diversamente il palcoscenico della nostra esistenza, senza farci sopraffare dai ricordi e dalle rêverie che si frappongono fra noi e la realtà.
“Le mie notti finirono di mattina“, dice il sognatore: ma è proprio allora che potrebbe cominciare la vita, quella vera e pulsante. È proprio al mattino che potremmo recuperare il coraggio di ascoltare i nostri sogni, anziché contemplarli e basta, superando le nostre paure e il rischio di non riuscire più a comunicare con gli altri.
In altre parole anche noi, seguendo le orme di Nasten’ka, avremmo il compito – secondo Dostoevskij – di non abbandonarci allo sconforto e di affrontare le sfide a cui ci sottopone costantemente la realtà, affinché il tempo che trascorriamo sulla terra non si limiti a sembrarci un sogno dentro a un sogno…
Fonte: www.illibraio.it