Quando la fedeltà a Dio non ha nulla a che vedere con il bene dell’uomo

di Alberto Maggi | 02.03.2024

nota: l’articolo fa seguito a questa riflessione dello stesso biblista Alberto Maggi, dal titolo L’anarchia spirituale di Gesù, condannato per le sue “trasgressioni”

FUORI DI TESTA

Gesù non solo non si lascia intimidire dall’attacco dei farisei (Lc 6,1-5), ma li affronta in quello che è il loro regno indiscusso, la sinagoga. Non va per partecipare al culto, bensì per insegnare, e il suo insegnamento non è come quello degli scribi e dei farisei. Esso non si basa su argomenti legati all’osservanza dei dettami della Legge, ma sempre su aspetti che riguardano la vita che Dio ha comunicato e che la religione, invece di potenziare, limita e soffoca. Non ricorre a dottrine raccolte in un testo, fosse pure sacro, ma all’uomo, l’unico che può essere considerato sacro per Gesù e il cui bene viene sempre al primo posto.

I soli personaggi che appaiono nella sinagoga sono un uomo anonimo, che non pronuncia una parola, e scribi e farisei che pure tacciono. L’uomo, invalido, ha la mano destra “inaridita”, ovvero paralizzata.

L’evangelista allude al profeta Ezechiele e alla sua visione di una valle colma di ossa inaridite (“Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite…” Ez 37,2), immagine del popolo: “Queste ossa sono tutta la gente d’Israele” (Ez 37,11).

La sottolineatura che la mano sia la destra indica che questa infermità gli impedisce di lavorare, e un uomo senza lavoro è una persona umiliata, in quanto la sua vita dipende dall’aiuto degli altri. L’invalido, rassegnato alla sua condizione, non chiede di essere guarito; è Gesù che prende l’iniziativa, ma scribi e farisei, sempre in agguato, lo spiano. Essi non tollerano che Gesù trasgredisca il comandamento del sabato per fare del bene.

Completamente assorbiti dal loro Dio, scribi e farisei sono insensibili alla sofferenza dell’uomo. A essi interessa Dio, non l’umanità. Per questo non possono comprendere Gesù, il Figlio di Dio, che si prende cura del bene delle persone e per il quale l’unico culto da praticare è comunicare agli uomini la stessa vita del Padre.

Identificando la volontà divina con la Legge, scribi e farisei l’hanno convertita in un feticcio che soppianta Dio stesso, e la Legge, nelle loro mani, diviene uno strumento di morte. Per essi la fedeltà a Dio non ha nulla a che vedere con il bene dell’uomo. I rappresentanti del sistema religioso, infatti, sono tanto pii quanto letali. La loro ostentata ortodossia non è che un paravento a quel funesto mondo di morte che cova dentro il loro animo.

Gesù è cosciente del pericolo che corre, in quanto se restituisce la pienezza di vita all’invalido rischia di perdere la sua. Che fare di fronte a un caso del genere?

Per guarirlo potrebbe benissimo attendere il tramonto, quando termina il giorno e con esso il precetto del sabato, come avevano fatto gli abitanti di Cafarnao (Lc 4,40). Ma è più importante rispettare la Legge divina o avere cura dell’uomo? Per Gesù non c’è alcun dubbio e non si può rimandare il bene da fare. Per questo, senza esitare, comanda all’invalido: “Alzati e mettiti nel mezzo!” (Lc 6,8). Mentre al centro dell’istituzione religiosa c’è la Legge, Gesù vi colloca l’uomo con le sue necessità, in quanto l’istituzione religiosa deve essere in funzione del bene dell’uomo, non il contrario. Poi, a sorpresa, anziché rivolgersi ancora all’invalido, Gesù si dirige proprio verso gli scribi e i farisei ponendo loro una domanda chiara, dall’evidente risposta, sicuro che il sabato, il giorno in cui si onora Dio, sia lecito fare del bene: “È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?” (Lc 6,9).

Nessuna risposta da parte degli scribi e dei farisei. Il loro silenzio è eloquente. Essi, che insegnavano che “In sabato non si può raddrizzare una frattura. Colui che si è slogato una mano o un piede non può tenerlo in acqua fredda” (Shab. 22,6), non possono ammettere che il sabato sia permesso fare del bene all’uomo. Riconoscere ciò significherebbe apparire contraddittori e perdere il prestigio sul popolo. D’altro canto, se affermassero che di sabato è consentito fare del male, smaschererebbero i propri intenti e l’effetto sarebbe lo stesso. È un momento di grande tensione… Gesù li guarda tutti, uno per uno, in segno di sfida, e comanda all’uomo: “Stendi la tua mano!”. L’uomo “lo fece e fu ristabilita la sua mano” (Lc 6,10). L’uso del verbo ristabilire indica che l’invalidità non era dalla nascita. Era stata la permanenza nella sinagoga, con il suo soggiogamento, che lo aveva reso così… Ancora una volta i luoghi di culto si rivelano pericolosissimi, inaridiscono e rendono invalide le persone.

La reazione normale alla guarigione dell’invalido, e di conseguenza il recupero del lavoro e della dignità, dovrebbe essere di gioia incontenibile e di lode al Signore. Gesù infatti non gli ha restituito solo la salute, ma, con la possibilità di lavorare, anche l’autonomia e la libertà. Ma le persone religiose non vivono in un mondo normale. Il loro criterio di bene o di male non è in relazione all’uomo, ma alla Legge divina, anche quando la sua osservanza è causa di sofferenza. L’ubbidienza cieca a norme e precetti ha anestetizzato i loro sentimenti, rendendoli incapaci di provare compassione per i mali degli uomini; la loro sensibilità è atrofizzata, seppellita sotto la montagna di culti ripetitivi, preghiere, devozioni, riti e sacrifici. Quando si vive completamente assorbiti da Dio, rimane poco o nulla per l’altro. Per Gesù il bene dell’uomo non solo è al di sopra della Legge ma della sua stessa vita. È il valore assoluto di fronte al quale è relativizzata non solo ogni dottrina, ma anche la propria esistenza. Per scribi e farisei, invece, la Legge, eterna e immutabile, è il valore assoluto di fronte al quale la vita degli uomini viene relativizzata. “Ma essi, fuori di sé dalla collera [lett. ripieni di follia], si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù” (Lc 6,11).

L’evangelista descrive scribi e farisei ripieni di “follia” (gr. anoias). L’uso di questo vocabolo indica che essi impazziscono, danno in escandescenze, diventano folli d’ira in preda a una cieca insania. Con grande abilità l’evangelista presenta due situazioni opposte: Gesù cura l’invalido liberandolo dalla sua infermità, ma questo di fatto rende infermi scribi e farisei che diventano folli. L’adesione e la permanenza volontaria in certi ambienti religiosi, fortemente inquadrati in rigide strutture che separano e isolano dagli altri, rende incapaci di dialogare, di confrontarsi con altre realtà, entrando in un circuito negativo dove si teme, rifiutandola, ogni proposta alternativa. Questo deliberato isolamento per difesa, per paura, diventa la propria volontaria prigione dalla quale è impossibile uscire. E la libertà viene vista come un pericolo. Per gli scribi e i farisei conta solo il fatto che Gesù abbia trasgredito pubblicamente il precetto del sabato. A loro non interessa la guarigione dell’uomo ma solo colpire l’artefice di essa. È per questo che confabulano tra loro su cosa fare a Gesù. Non si tratta di decidere se eliminarlo o meno, ma come e quando sia conveniente farlo.

L’AUTORE – Alberto Maggi (nella foto grande di Basso Cannarsa, ndr), frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme.

Biblista e assiduo collaboratore de ilLibraio.it, è una delle voci della Chiesa più ascoltate da credenti e non credenti. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (MC), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Con Garzanti ha pubblicato Chi non muore si rivede, Nostra signora degli ereticiL’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi, Due in condotta, La verità ci rende liberi (una conversazione con il vaticanista di Repubblica Paolo Rodari) e Botte e risposte – Come reagire quando la vita ci interroga. Il suo ultimo libro, sempre edito da Garzanti, è dedicato alla figura di Bernadette.

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Fonte: www.illibraio.it