“Uno, nessuno e centomila”: il libro di Pirandello, in breve

di Eva Luna Mascolino | 03.02.2024

Uno, nessuno e centomila è uno dei primi libri che vengono in mente quando si parla di Luigi Pirandello (1867-1936), insieme ad altri capolavori dello scrittore siciliano come – tra i più famosi – Il fu Mattia Pascal, Sei personaggi in cerca d’autore o Così è (se vi pare).

Uno, nessuno e centomila è un’opera enigmatica e densa di significati, che riprende il concetto dell’alienazione moderna di cui avevano già iniziato a parlare filosofi come Arthur Schopenhauer (1788-1860) e Friedrich Nietzsche (1844-1900), indagando nel frattempo l’idea della frammentazione dell’io ispirata al pensiero di Sigmund Freud (1856-1939), per dare vita a una storia imprevedibile e angosciante, che rimette in discussione la nostra visione dell’interiorità, delle relazioni umane e del mondo che ci circonda.

Se non avete ancora letto il libro, se volete conoscere la trama o qualche curiosità, abbiamo preparato per voi una sintetica scheda che ripercorre i punti principali di questo importante romanzo psicologico del primo Novecento italiano.

Uno, nessuno e centomila: di cosa parla, in breve

Copertina del libro Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello

Partiamo dalla trama di questo grande classico. Uno, nessuno e centomila (di cui consigliamo l’edizione Garzanti a cura di Antonino Borsellino e Pietro Milone) ha per protagonista Vitangelo Moscarda, un uomo di mezza età semplice e senza grandi vizi, che abita con la moglie Dida e che, grazie alla banca ereditata dal padre, può vivere di rendita.

La sua quotidianità scorre tranquilla fino a quando, un giorno, Vitangelo è davanti allo specchio per guardarsi una narice che gli fa un po’ male, e sua moglie butta lì con un sorriso, con aria quasi distratta: “Credevo guardassi da che parte ti pende“. Sì, perché a quanto pare il naso del suo Gengè non è dritto come lui aveva sempre pensato.

La rivelazione segna per Moscarda un punto di non ritorno: se sua moglie lo vede in un modo che a lui non era mai venuto in mente, è probabile che anche gli altri abbiano un’altra idea di lui, anzi, centomila idee, tutte diverse fra loro e tutte diverse da quella che Moscarda ha di sé stesso. Credeva di essere uno, insomma, e invece si ritrova a non sapere più niente di sé, non assomigliando più a nessuno che conosca.

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello (GettyEditorial)

Colto da un raptus sempre più furioso, ma al tempo stesso lucido, l’uomo si separa allora dalla moglie, vende la banca del padre e litiga con i suoi soci d’affari, sfrattando intanto gli inquilini di una sua vecchia casa con l’intenzione di investire in una dimora più grande, dove farli andare ad abitare a loro insaputa per migliorare le loro condizioni, e perché non pensino più che Moscarda sia un taccagno e un usuraio.

Questa presa di coscienza così brusca e radicale lo porta ad allontanarsi da tutte “le rabbie del mondo“, che a suo avviso sono i soldi, l’eros e la violenza, e a costruire un “ospizio di mendicità” dove accogliere i poveri e i bisognosi: Moscarda stesso deciderà alla fine di vivere lì, rinunciando a qualunque possedimento e rapporto sociale pur di ritrovare un contatto diretto, essenziale e pacifico con le piccole cose intorno a sé.

[nlscuola]

Qualche curiosità sul libro Uno, nessuno e centomila

Luigi Pirandello ha cominciato a lavorare a questo romanzo già nei primi anni del Novecento, forse intorno al 1909, ma affinché Uno, nessuno e centomila veda la luce bisognerà aspettare fino al dicembre del 1925, quando l’opera esce a puntate per la rivista La Fiera Letteraria, per poi essere pubblicata in un volume a sé stante nel 1926.

All’inizio il testo aveva il titolo provvisorio di Ricostruire, sotto il quale in effetti appaiono già alcuni stralci nella rivista letteraria Sapientia nel 1915, anche se poi l’autore ha deciso di modificargli il nome, optando per uno che anticipasse in maniera ancora più chiara i temi portanti della storia.

D’altronde, lo stesso Pirandello definisce Uno nessuno e centomila come la “sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e la sorgente di quello che farò“, parlandone in una sua lettera come del romanzo “più amaro” fra tutti quelli che abbia mai scritto, “profondamente umoristico, di scomposizione della vita“, e in cui in effetti ritroviamo questi punti chiave della sua poetica.

La frase più memorabile (e citata) dell’opera

Una delle citazioni di Uno, nessuno e centomila più conosciute dal grande pubblico si trova nel capitolo IV del libro secondo ed è dedicata proprio alla relatività dei nostri pensieri, delle nostre sensazioni, della comunicazione che proviamo (invano) a instaurare con gli altri:

Ma il guajo è che voi, caro mio, non saprete mai come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io, nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto.

Una frase tratta dal libro Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello

Chi è stato Luigi Pirandello, Nobel per la Letteratura nel ’34

Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) nasce nell’entroterra siciliano da una famiglia agiata, dedicandosi inizialmente agli studi tecnici per volere del padre, anche se già a dodici anni abbozza i suoi primi testi e dimostra un notevole talento per la scrittura.

Si trasferisce poi a Roma per approfondire la letteratura, per poi spostarsi a Bonn dove consegue la laurea in Filologia: in questi anni di grande fermento, viene a contatto con gli intellettuali del suo tempo e sviluppa uno stile e un pensiero sempre più suoi, sempre più originali, puntando tutto sul mondo del teatro.

Intanto la sua situazione familiare precipita, dal momento che un allagamento distrugge la miniera di zolfo dei genitori, portandolo sul lastrico insieme alla moglie. Quest’ultima comincia a soffrire di una malattia mentale che la accompagnerà per sempre, mentre intanto Pirandello cerca nella scrittura un conforto psicologico ed economico.

Nel 1929 entra a far parte dell’Accademia Italiana e nel 1934 riceve il prestigioso Nobel per la Letteratura dall’Accademia di Svezia, anche se nel frattempo la sua adesione esplicita al fascismo risalente al 1924 lo sta portando a un isolamento culturale sempre più evidente.

Decide così di dedicarsi al cinema, da cui è sempre stato affascinato, e collabora all’adattamento di alcuni dei suoi testi, anche se proprio mentre è sul set de Il fu Mattia Pascal si ammala di una polmonite che si rivelerà fatale: si spegnerà il 10 dicembre del 1936 a Roma, lasciando incompiuta la sua ultima opera teatrale, I giganti della montagna.

[newsletter]

Fonte: www.illibraio.it