Gli imprevedibili piani dei librai
La ragione per cui mi è stato chiesto di scrivere questo articolo – e, a monte, di preparare un intervento per la giornata inaugurale del seminario di perfezionamento 2016 della Scuola per Librai Luciano ed Elisabetta Mauri – è probabilmente che io mi trovo in una posizione singolare (non troppo singolare, perché chissà quante ce ne sono in giro, di figure come la mia, ma comunque abbastanza singolare): sono un’autrice di libri ma anche una redattrice, una editor, in generale una lavoratrice di casa editrice. Aggravante: una lavoratrice in case editrici piccole, di quelle in cui tutti imparano a fare tutto e cercano di raggiungere la massima intercambiabilità, perché se al direttore editoriale viene la febbre si ammalano anche il traduttore dall’inglese e l’art director delle copertine e allora è bene che almeno uno su tre sia sostituibile.
Io, a parte la contabilità (cosa che depone grandemente a favore dell’intelligenza dei miei capi), sono o sono stata redattrice, editor, traduttrice, coordinatrice di redazione, rights manager (e vi garantisco che se non ci siete portati è una vera agonia), creatrice di copertine e di schede per gli agenti di vendita, impaginatrice, interlocutrice di autori, distributori e clienti, autrice di contenuti per il sito e le newsletter, ufficio stampa (che, se non ci siete portati, è un’agonia anche peggiore). Non so fare tutte queste cose al 100% – forse nemmeno una; per la maggior parte, probabilmente, non arrivo nemmeno al 30%. Tuttavia, come minimo, posso dire di aver potuto ficcare il naso in tutte queste fasi della vita, o meglio della gestazione, di un libro.
Ed è pazzescamente interessante.
Due anni fa ho scritto L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome, che poi è stato pubblicato da Garzanti a maggio del 2015, e questo mi ha consentito di fare esperienza anche delle fasi precedenti. L’ideazione, la stesura (e la ristesura, e la ri-ristesura), la scelta di un agente, l’incontro con l’editore; e anche tutte quelle altre cose che fino ad allora avevo vissuto solo dall’altra parte della scrivania, come la stipula del contratto, l’editing, l’impostazione delle attività promozionali. Nel mio piccolo, devo dire che della parte iniziale e di quella centrale, diciamo così, della vita di un libro, mi sono potuta fare un’idea piuttosto approfondita.
Cosa mi mancava?
Sembra ridicolo, ma il segmento di cui avevo nettamente meno esperienza è stato a lungo proprio quello che di solito alle persone viene più facile conoscere: la fase della libreria, il lasso di tempo in cui il libro viene esposto, promosso, chiacchierato, presentato, scontato, consigliato, se gli va bene comprato oppure destinato al macero. Fino allo scorso maggio, io conoscevo le vicende del libro in libreria solo da cliente, e – lo confesso – nemmeno tanto bene, perché io sono sempre stata una di quelle utenti occasionali che magari fanno la spesa grossa una volta, come per l’acqua o la pasta, ma non hanno una libreria di fiducia, non hanno un libraio a cui dare del tu, non vanno a colpo sicuro a un certo scaffale conoscendo a menadito la logica dell’esposizione e della selezione.
Ah, e avrò visto tre presentazioni di libri a dir tanto in tutta la mia vita.
Dallo scorso maggio tutto è cambiato. In sei mesi sono stata chiamata a tenere circa sessanta presentazioni in libreria, che vuol dire una media di due o tre la settimana. Così l’esperienza che mi mancava è stata rapidamente recuperata: ho potuto parlare con un sacco di librai, ho osservato le loro strategie comunicative e promozionali, ho scoperto i loro gusti, assistito alle loro interazioni con la comunità, ho contribuito a realizzare la loro idea di evento. E sono giunta a una conclusione: il mestiere del libraio è estremamente creativo. Intendo dieci, venti volte più creativo di quello dello scrittore. Perché lo scrittore, se va bene, le meningi se le deve spremere una volta all’anno, per buttare giù la sua opera numero ics, mentre un libraio deve inventarsi continuamente qualcosa, una rassegna, un format, un colpo di genio, per richiamare persone, tenere viva l’attenzione e la curiosità della comunità, e in ultima analisi, in questi tempi che non aiutano per niente, riuscire a campare di ciò che gli piace, cioè di libri.
I librai si devono inventare un sacco di imprevedibili piani.
Ve ne racconto qualcuno.
Un libraio di Parma si è procurato un’arma segreta rara e potentissima: una commessa diplomata all’Istituto d’arte, studentessa in Conservatorio e ricercatrice in astrofisica. E con una sorellina di dieci anni altrettanto intelligente che la tiene aggiornata sui libri che piacciono a lei. Praticamente una macchina da guerra capace di consigliare libri a raffica su tutto lo scibile umano. Dove passa lei, non cresce più un volume su uno scaffale, perché lei l’ha già rifilato al cliente di turno.
Un libraio di Sorrento, come peraltro molti suoi colleghi, ha capito che la chiave era nei bambini. Qual è il più grande desiderio dei genitori per i loro figli? Che crescano sani e felici? Sì, be’, anche, ma soprattutto che se ne stiano fuori dai piedi il più possibile. Così s’è inventato un’incredibile rassegna di laboratori per bambini e si è guadagnato il sempiterno amore dei suoi concittadini prolifici e stressati.
Una libraia di Lecco ha capito che la moda delle 50 sfumature poteva tornar buona non solo alle lettrici mediocri, ma anche a quelle colte e raffinate. S’è inventata una serata in cui ogni lettrice potesse consigliare il suo libro erotico (ma d’autore) preferito, a mo’ di dimostrazione e di atto di resistenza contro Mr. Grey, e tutte sono tornate a casa contente e con un sacco di roba molto interessante da leggere.
Un libraio del Canavese (nello specifico, della zona più brumosa e umida, una di quelle in cui a ottobre alle cinque di sera vuoi solo chiuderti in casa e accendere il caminetto) e una sua amica, direttrice di un’associazione culturale, hanno capito come stanare i loro compaesani: prendendoli per la gola (anche questo un sistema noto a molti). Loro, in particolare, hanno fatto comunella con dei pasticceri sopraffini e iniziato a organizzare presentazioni nella loro sala da tè. La gente ha iniziato a venire a prendere il tè e, già che c’era, a sentire uno scrittore parlare. Le priorità delle papille gustative sono evidentemente più imperative di quelle del cervello, perché quelle sono state in assoluto le presentazioni più affollate di cui io abbia avuto notizia. (E forse non è un caso che il sold out più clamoroso, lì, l’abbia fatto Bruno Gambarotta.)
Un bibliotecario e una libraia di un paesino del cuneese ci hanno messo il panorama. Si sono fatti prestare la casa da una signora molto fortunata e hanno raccolto gli spettatori in un giardino magnifico in cima a una muraglia medievale, con vista su una vallata al tramonto. Gli scrittori non erano del tutto contenti, però, perché la loro sedia dava le spalle allo scenario. Così la presentazione durava anche il giusto, perché avevamo voglia di girarci in fretta anche noi oratori prima che il tramonto finisse.
Se il panorama non c’è, lo si può andare a cercare. Una libraia di Legnano ha chiesto asilo a un vivaio meraviglioso e ha piazzato scrittori e lettori a parlare di libri in mezzo ai fiori. E se siamo sotto le feste dei Morti e il vivaio è pieno di crisantemi? No problem: si presenta un thriller.
E se non c’è nemmeno il vivaio? Due libraie pugliesi hanno appeso al soffitto della loro libreria le tavole di una loro amica illustratrice: tu cammini per la libreria e questi fogli coperti di disegni incantevoli ti svolazzano attorno come farfalle accompagnando la tua esplorazione. Ti sembra di stare in una fiaba, non usciresti mai.
Una libraia di Rivoli ha capito che quando viene l’estate la gente vuole starsene all’aria aperta a bere bibite ghiacciate, non chiudersi in una libreria sotto i getti dell’aria condizionata (o, peggio ancora, in una libreria senza i getti dell’aria condizionata). Così ha portato fuori la libreria. Ha colonizzato un parco, dove i bambini, in primis suo figlio, giocavano a nascondino fra i banconi dei libri e i vecchietti esaminavano i titoli dei piccoli editori locali anziché i lavori dei cantieri stradali.
E questi sono solo alcuni dei sistemi a cui ho assistito grazie ai quali i summenzionati librai si sono conquistati il pubblico. Ma il caro, vecchio e più consolidato modo per ricordare perché oggi una libreria sia ancora indispensabile e non potrà mai essere sostituita da un bookstore online che funziona ad algoritmi, in realtà, l’ho visto in azione il primissimo minuto del primissimo giorno in cui sono andata a fare la mia primissima presentazione:
in una cittadina fuori Firenze, sono entrata subito dietro a un signore, che s’è diretto deciso verso i librai e ha esordito, senza manco dire ciao, con un: “Ovvìa, e quindi che si legge oggi?”. E i librai, che lo conoscevano, conoscevano i suoi gusti e sapevano benissimo cos’aveva già letto e cosa no, lo hanno consigliato. A lungo, approfonditamente e con grande competenza (condita, bisogna dirlo, da salaci commenti in toscano, che in effetti danno sempre quel qualcosa in più).
Io, dietro, placida, aspettavo e intanto imparavo.
E in seguito ho visto risuccedere questa scena un sacco di volte in un sacco di altri posti.
Quindi auguri a tutti i librai. Quelli che vedrò alla Scuola e quelli che, magari, stanno leggendo questo articolo. Perché a quanto pare vi tocca un lavoro spossante quanto tutti i lavori creativi, ma soprattutto non automatizzabile.
Grazie per l’ispirazione a: Libreria Feltrinelli di Parma; Libreria Mondadori di Piano di Sorrento; Libreria Volante di Lecco; Associazione Culturale Amici di Grosso; Centro Culturale di Mombasiglio “Mario Giovana”; Libreria Galleria del Libro di Legnano; Libreria La Librellula di Gioia del Colle; Libreria Panassi di Rivoli, Libreria Fortuna di Pontassieve. (Ma potrei elencarne molti di più.)
Fonte: www.illibraio.it