Il correttore automatico di Word è come quelle fidanzate che ti mettono a posto i cassetti, o quei fidanzati che Loro Sì Che Sanno come si carica la lavastoviglie: quando non sono fra i piedi ti senti più libero, poi però casa tua inizia a somigliare a New Orleans dopo Katrina. Scrivere sui social è un po’ così: senza la rete di sicurezza dei correttori automatici, le maschere cadono e si svela tutto il nostro analfabetismo di ritorno. Visto che scrivere bene fa anche sembrare più intelligenti le cose che scriviamo, non è una cattiva idea addestrarci a fare da soli.
- Le parole che non ti ho mai scritto. Una percentuale insospettabilmente alta di noi ha almeno una o due parole che non ha mai davvero imparato a scrivere: “accellerare” con due elle, “metereologo” anziché “meteorologo”, “grattuggia” con due gi. La fregatura è che quando ci capita di infilarle in uno status o in un commento l’impressione che diamo non è che ci sia scappato un refuso, ma che noi, quella parola, la scriviamo automaticamente così perché siamo proprio convinti che sia giusto. E quest’impressione – che peraltro è vera – non va mica bene, perché ci fa sembrare ignoranti, e gli ignoranti su facebook rimorchiano meno. Se poi vogliamo fare colpo sulla studentessa universitaria con gli occhialini rétro che ogni tanto posta una poesia della Szymborska, dobbiamo saperci spingere anche oltre, e per esempio essere consapevoli che la prima persona plurale di “sognare” o “disegnare” è “sogniamo” e “disegniamo”, con la i.
- Le abbrvzni. Ci facevano schifo già negli sms, però tutto sommato potevamo giustificarle: lo spazio limitato, la necessità di fare in fretta… Ma, in facebook, perché? C’è davvero bisogno di scrivere cmq, xò, nn? In fondo mica ci diventa incandescente la tastiera sotto i polpastrelli se superiamo un certo numero di caratteri. Ma, soprattutto: cosa faremo di tutti quei decimi di secondo di tempo libero che avremo accumulato a furia di levare la “o” da “non”? Mi sa che non ci basteranno manco per imparare una poesia della Szymborska.
- Un apostrofo nero tra le parole “qual è”. Ho amiche disposte a giurare che loro, a un uomo che scrive pò, qual’è e fà, non darebbero nemmeno del tu, figuriamoci altro. Una parte di me sospetta che se il soggetto in questione avesse le sembianze di Chris Hemsworth correrebbero ad abbracciarlo cinguettando “povero caro, sarà un po’ dislessico, avrà solo bisogno d’aiuto!”, ma lasciatemi credere che il mondo sia un posto giusto in cui anche la grammatica ha un suo sex appeal. E comunque, via, non è questo gran sforzo, scrivere qual è, po’ e fa: pensate a me, che ho appena dovuto scrivere “Chris Hemsworth”.
- Puntini puntini. Okay, nella vita bisogna saper prendere posizione, fare scelte audaci e accettare di non potere sempre piacere a tutti. Quindi ecco la mia dichiarazione impopolare: i puntini sono tre. Uno, due e tre. Fine. Quattro quando proprio il dito scappa (d’altra parte, è uno status di facebook, non è la copia definitiva di un report per le Nazioni Unite). Ma è giusto sapere che fra scrivere “sono emozionata…” e “sono emozionata……….” non c’è nessuna differenza: non è che nel primo caso l’emozione sia sopportabile e nel secondo ti ammazzi dallo stress. Aumentare i puntini non significa aumentare la suspense: significa semmai perdere il tempo guadagnato scrivendo “nn” nello status precedente.
- E, infine, loro: gli anglismi. Le crociate contro gli anglismi oggi si sprecano e se devo essere onesta io non sono nemmeno questa sfegatata paladina della causa. Anche perché, ormai, per termini come taggare non so mica se sia possibile trovare qualche sinonimo che non suoni come una forzatura snob. Però ci sono dei casi che non riesco ancora ad accettare del tutto, forse perché, essendo invece dotati di perfetti corrispettivi italiani, mi puzzano di pigrizia. Tipo: quotare. “Quoto Paolo”. Dove, in borsa? “Concordo con” era così brutto? O “piacere” usato in senso transitivo, all’inglese, ricalcando to like: “Condividete e piacete tutti lo status del nostro amico Paolo!”. Argh. E gli ibridi fra anglismi e abbreviazioni? “Btw”, “asap”. Ancora mi ricordo la prima volta che ho visto un “lol”. Neanche il tempo di andare su Wikipedia a scoprire cosa significasse che era già comparso un “rotfl”. La parte divertente è che ti fanno venire voglia di confondere le acque inventandotene di tuoi, a questo punto in italiano. Io per esempio vorrei sdoganare “rbb” (“risatina breve e beffarda”), “cdacc” (“cenno di approvazione col capo”) e “scsaelsdclsl” (“sorrisetto con sopracciglio alzato e la smorfia di chi la sa lunga”).
Che poi, diciamocelo. Non è per i quattro puntini o per un “xkè” uscito al volo, chissenefrega. Il fatto è che, se uno scrive bene anche un miserabile status di facebook, probabilmente è perché scrive bene tout court, perché gli è venuto spontaneo in quanto è abituato a scrivere bene, magari perché ha studiato o perché, anche meglio, è uno che legge e impara. E se sei uno che legge e impara, oltre ad avere probabilità maggiori di ottenere l’attenzione della studentessa della Szymborska (a meno che naturalmente non somigli a Chris Hemsworth, nel qual caso mi sa che non ti serve), c’è il caso che tu sia anche uno in gamba che si è fatto le sue idee e nella vita non si lascia fregare troppo facilmente.
Non so. Sarà una forma di fissazione professionale, ma io credo davvero che un congiuntivo usato bene, tre puntini di sospensione, un buon lessico ricco, eccetera, siano una forma di resistenza.
(Ah: giusto per mettere le cose in chiaro, la studentessa della Szymborska io me la immagino come una Natalia Vodianova con gli occhiali di Marilyn in Come sposare un milionario. Non so, secondo me ne vale la pena).
*Alice Basso, autrice di quest’intervento, ha appena pubblicato per Garzanti il romanzo L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome. Lavora nell’editoria, e su ilLibraio.it ha già raccontato con ironia la sua (disordinata) biblioteca personale…
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Fonte: www.illibraio.it