L’Apple Watch, il Bianconiglio e i segreti di Alice nel paese delle meraviglie

di Mauro Tosca | 25.04.2015

Ho provato in anteprima l’Apple Watch, in uscita negli Stati Uniti venerdì 24 aprile. Se ne parla da mesi, e in Italia ancora dovremo aspettare un po’ (forse fino al 29 maggio): l’occasione di una presentazione a Milano durante la Design Week era troppo ghiotta per un ingegnere curioso.

Di cosa parliamo quando parliamo dell’Apple Watch? Della prima novità introdotta da Apple dopo l’iPad, e dalla scomparsa di Steve Jobs. Di un device che ha già venduto in prenotazione oltre due milioni e mezzo di pezzi, superando le vendite combinate di tutti gli smartwatch fino ad oggi. Di un concentrato di tecnologia che JJ Abrams, il creatore di Lost, sfoggiava al polso pochi giorni fa, alla presentazione del nuovo trailer di Star Wars. Aspettative e curiosità nerd alle stelle.

L’orologio – se si può chiamare così – è bellissimo: ho provato la versione con quadrante in acciaio e cinturino in maglia milanese. È solido, non pesante, dalle linee arrotondate e amichevoli, un po’ come il primo iPhone. L’intento sembra quello di umanizzare un device che dovremmo indossare sempre (tranne la notte, quando dovremo ricaricarlo: la batteria dura solo 18 ore).

Cosa fa? Indossato sembra spento: l’orologio si attiva quando solleviamo il polso per guardare il quadrante. Il display è impressionante per definizione, colori e profondità del nero. Oltre a vedere l’ora, useremo l’Apple Watch per gestire la nostro vita sportiva (la top model Christy Turlington ci sta preparando la maratona di Londra), per comunicare e per gestire le notifiche e le attività del nostro iPhone. In particolare, Watch ci permette di usare di meno l’iPhone: forse ci riuscirà di dare solo uno sguardo veloce al polso invece di astrarci col nostro smartphone in mezzo alle conversazioni. Io mi sono innamorato dell’esperienza utente, diversa da quella iOS: la sfida di rendere uno strumento così piccolo usabile sembra vinta, grazie al nuovo schermo touch a pressione, alla corona digitale che si usa per navigare, e all’effetto di ‘tocco leggero sul braccio’ che ci avverte che l’orologio vuole dirci qualcosa.

Bello è bello. Serve veramente? Ci mancava uno strumento che ci consenta di non togliere l’iPhone dalla tasca? Quanto pigri siamo diventati? Per folle che possa sembrare, è la stessa cosa che ci siamo chiesti all’uscita dell’iPad: ho già un computer per fare queste cose, a chi potrà mai interessare un device per evitare di alzarsi dal divano e fare 3 passi fino alla scrivania? Milioni di pezzi venduti hanno risposto alla domanda.

Il gioco di questa rubrica è legare un oggetto tecnologico a un bel libro: e c’è una storia che parla di follia e non sense, comincia con un orologio che scappa e viene inseguito, e ha un cuore nerd. Ovviamente, la storia di Alice nel paese delle meraviglie. Mentre ero lì, guardato a vista dal un bodyguard apple, la tentazione fortissima c’è stata: e se comincio a correre con l’Apple Watch al polso urlando “Sono in ritardo! Sono in ritardo!”?? La prenderanno come una performance artistica e mi lasceranno andare?

{Book} Alice nel paese delle meraviglie, edizione annotata a cura di Martin Gardner, traduzione di M. D’Amico, BUR.

Il primo dei due libri dedicati da Alice è stato pubblicato giusto 150 anni, e ha avuto immediato e duraturo successo. Ad Alice è stata data ogni tipo di interpretazione (politica, storica, allucinogena, psicoanalistica, etc etc), ma una particolare attenzione l’ha sempre avuta da parte del mondo scientifico: sotto i miei 7 segreti preferiti di Alice.

Il primo logo di Wikipedia conteneva un citazione da “Euclide e i suoi moderni rivali”, uno dei titoli di matematica scritti da Charles Dodgson, il reverendo insegnante di matematica che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Lewis Carroll: matematico fortemente conservatore, avversava la nuove geometrie non euclidee (che avrebbero aperto le porte alla Relatività in fisica). Nonostante il tema anche da queste pagine non manca un tocco di follia: Dogson difende l’assioma delle parallele nella forma di un dialogo tra Minosse e un Professor Nessuno, che finisce con la condanna all’Inferno della Matematica delle teorie moderne.

Il numero 42 è uno dei numeri preferiti da ogni appassionato di fantascienza: secondo Douglas Adams, 42 è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto. Ma il 42 ricorre in maniera peculiare anche nell’opera di Carroll: Alice viene accusata dal Re di Cuori di violare la legge #42 (“Tutte le persone più alte di un miglio devo lasciare l’aula della Corte!”), ha 7 anni e 6 mesi (7*6=42), i due libri hanno 24 capitoli e 24 è 42 letto allo specchio, etc etc.

La regina Vittoria fu un’ appassionata lettrice di Alice. Leggenda vuole che chiese a Carroll di dedicarle il prossimo libro che avesse scritto e che Carroll le dedicò non una nuova avventura di Alice, ma un sicuramente appassionante “Sunto dei determinanti”. Non sappiamo come reagì la sovrana lettrice.

Lewis Carroll è uno degli autori più citati nei testi di programmazione e Alice è tra i libri più consigliati nei forum tecnici (What non-programming books should programmers read?): come ha spiegato Alan Perlis, celebre professore di informatica al MIT: “The best book on programming for the layman is ‘Alice in Wonderland’; but that’s because it’s the best book on anything for the layman.”

Lewis Carroll fotografo: appassionato di tecnologia, fu un pioniere della fotografia in Inghilterra, cominciando a fotografare nel 1856. Anche se non lo fece mai come professione, diventò uno dei fotografi più conosciuti di epoca vittoriana. Tra i suoi ritratti, quello del preraffaelita Dante Gabriel Rossetti e del poeta Alfred Tennyson (oggi famoso solo per le sue citazioni nei gialli di Agatha Christie).

L’effetto Sherlock Holmes: anche se Dodgson non arrivò ad odiare Alice, come Conan Doyle con Sherlock Holmes quando lo buttò giù dalle cascate di Reichenbach, non sempre era a suo agio con la popolarità dell’Alice curiosa e disubbidiente, così lontana dall’idea della brava bambina vittoriana. 30 anni dopo Alice, scrisse un altro romanzo in due parti, Sylvie e Bruno, dal chiaro intento educativo: lo considerava il suo capolavoro. Anche se qualche spunto divertente c’è, il romanzo è unanimemente considerato una noia mortale.

Per tornare a tuffarvi nel mondo di Alice ci sono magnifiche edizioni illustrate, ma quella più bella è di Martin Gardner, matematico americano: BUR ha ripubblicato in questi giorni la versione aggiornata, in cui i segreti di Alice vengono svelati con rigore matematico e grande humor: le note annidate a font decrescente sarebbero piaciute molto a Forster Wallace.

L’Alice di Gardner non è un libro (solo) per matematici, come Alice non è un libro (solo) per bambini: anzi, tra le parti più divertenti del libro ci sono le canzoni originali che Carroll prendeva in giro: come resistere a filastrocche per bambini intitolate “Against the Idleness and Mischief”, Contro la Pigrizia e la Monelleria? E a raccolte intitolate “Divine canzoni per bambini”? L’infanzia vittoriana doveva essere uno spasso.

{le note a piè di pagina}

La recensione dell’Apple Watch di The Verge e del New York Times. Ah, dimenticavo: l’Apple Watch costa da 349 ad oltre 17.000$, se siete miliardari cinesi e volete il quadrante in oro 18 carati. Cambiano i materiali, non le funzionalità.

Le traduzioni in italiano di Alice sono innumerevoli: Mary Wardle della Sapienza di Roma ne ha contate 56, integrali. Una nuova traduzione ogni 3 anni, in media. Il testo di Carroll è pieno di giochi di parole e riferimenti al contesto dell’Oxford vittoriana: la sfida per il traduttore è scegliere tra l’approccio filologico (traduzione più letterale e tante note) e il funzionalista (divertire il bambino di oggi come i primi lettori, attualizzando i riferimenti oggi oscuri).

Oltre alla bella versione di Gardner/D’Amico, val la pena segnalare l’edizione Garzanti tradotta da Milli Graffi e l’avventurosa traduzione di Aldo Busi, che inserisce riferimenti alle gemelle Kessler e al dadaumpa.

Euclide e i suoi moderni rivali, integrale.

L’algebra in Carroll, dal New Scientist, 2011.

Le illustrazioni usate nell’immagine sono di Sara Mulvanny (a sinistra) e di Dan Beltran.

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Fonte: www.illibraio.it