“Non ditelo allo scrittore”: il ritorno di Alice Basso

di Redazione Il Libraio | 22.05.2017

Alice Basso lavora per diverse case editrici, come traduttrice e redattrice, valuta le proposte editoriali e, nel tempo libero, canta e scrive canzoni per alcune band rock; non sa cucinare, ma ama disegnare e, tra le altre cose, scrive libri. Dopo il successo de L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome e di Scrivere è un mestiere pericoloso, l’autrice torna in libreria, sempre per Garzanti, con Non ditelo allo scrittore, la storia di Vani, dotata di un’empatia innata, ma insofferente nei confronti delle persone, tutte le persone. Il suo dono tuttavia le è utile, perché Vani è una ghostwriter: scrive a nome di altri autori, che pubblicano libri scritti da lei, un lavoro che deve tenere segreto e che si fa ancora più complicato quando le viene affidato il compito di scovare un altro ghostwriter che si cela dietro uno dei più importanti romanzieri italiani. Nel frattempo un altro scrittore, Riccardo, che le aveva spezzato il cuore, torna nella sua vita, mentre il commissario Berganza vuole il suo aiuto per condurre un’indagine e, magari, un’occasione per dichiararsi.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto del romanzo:

(…)

«Non riesco a capire», sospira la ragazza.

Ha lo sguardo smarrito di un gattino che non si spiega dove sia finito il resto della lucertola. Occhi lievemente bovini, espressione assente peggiorata dall’ombretto. È carina, ma fa parte di quella fortunata fetta di umanità che afferma «non riesco a capire» e tu pensi che sia perfettamente plausibile che non riesca a capire qualcosa.

«Cioè. Prima dell’Erasmus, eravamo la coppia perfetta. Lui era il ragazzo che tutte vorrebbero avere. Le rose, mi regalava, Lisa. Chi è che ti regala le rose, oggi? Cioè, a venticinque anni? Dopo quattro che state insieme? Ma dai. Era troppo innamorato, si vedeva. Non sono io che me la racconto, scusa, mi dispiace ma stavolta non sto facendo la donna tonta che vede solo quello che vuole vedere. Era innamorato, punto. Poi torna da Berlino e di colpo mi molla. Ma perché? Ma cos’è successo in mezzo? Non riesco a capire.»

Giuro sulla mia testa dai capelli biondi tagliati maldestramente davanti allo specchio del bagno che la prossima volta che uno mi dà appuntamento in un bar gli dico di no.

Perché il problema, se incontri qualcuno in un bar, è che non incontri solo lui. Incontri tutte le fottute persone che decidono di sedersi in quel bar. Tipo queste due decerebrate che, di tutti i posti che potevano scegliere, sono venute ad appoggiare il culo proprio al tavolino accanto al mio.

Che due palle. Un bar è un’aberrazione della società incivile che vuole che degli esseri umani che si ritrovano a meno di un metro di distanza da dei perfetti estranei si sentano a loro agio tanto da scambiarsi confidenze. Io non voglio sentire le confidenze nemmeno della gente che conosco. Figuriamoci quelle di due estranee. Figuriamoci quelle di due estranee ventenni. Figuriamoci quelle delle tube di Falloppio di due estranee ventenni.

In più, qui non servono nemmeno del whisky.

Davanti alla Donna Che Non Riesce A Capire, ossia seduta trenta centimetri alla mia sinistra ma tecnicamente a un altro tavolino (e quindi appunto, secondo la perversa logica dei bar, praticamente in un altro universo dal quale io dovrei fingere di non percepire alcun suono), sta l’amica rispondente al nome di Lisa. Ha gli occhiali. Per l’esattezza, ha quegli occhiali sovradimensionati da ingegnere degli anni Settanta che le ragazze amano portare quando vogliono raccontarsi che se i ragazzi non le trovano attraenti è perché portano gli occhiali. Gli occhiali che la piccola Harriet del classico Professione? Spia! indossava senza lenti per sentirsi più intellettuale, per dire. Lisa invece ce le ha, le lenti. Eccome, se ce le ha.

«L’unica spiegazione è che sia successo qualcosa a Berlino», incalza la Non Capente. «Ma tu mi hai assicurato che non l’hai perso di vista un secondo!» Non Capente e Lisa devono conoscersi da un pezzo. Nessuno che non sia più che assuefatto ai fondi di damigiana che Lisa porta in faccia userebbe con lei espressioni idiomatiche che riguardino la vista. «Cioè, verrebbe da dire che ha un’altra, no? Da che mondo è mondo, se uno un giorno è tutto uno zuccherino e poi fa un viaggio e quando torna ti molla è perché in viaggio ha incontrato un’altra, giusto?»

«Be’, il rasoio di Ockham in genere funziona», commenta a mezza voce Lisa, e di colpo mi sta un tantino simpatica. Quella faccenda del rasoio di Ockham la dice sempre anche il commissario Berganza, l’uomo più in gamba che conosca e del quale, grazie a una serie di circostanze che definirei fortunate se non avessero implicato almeno un paio di delitti, sono diventata consulente ufficiale da circa tre mesi. Inoltre, Lisa l’ha detta quasi fra sé, come se non ritenesse l’amica veramente in grado di comprenderla. Il che immagino sia vero.

Direi che l’occhialuta Lisa, a differenza dell’amica, è Una Che Capisce.

«Solo che, se a Berlino tu non gli hai mai levato gli occhi di dosso» – e due – «e non ha mai frequentato nessun’altra, allora come si spiega?»

Oh mio Dio. Così è veramente troppo facile.

«Rosi», dice Lisa, cercando le parole e svelandomi fra l’altro che Non Capente possiede un nome incredibilmente calzante con il suo personaggio di svampitona. «Senti… quando una coppia si rompe, non è mica detto che sia per forza perché è arrivato qualcun altro, sai. Anzi, molto spesso – no, anzi, direi sempre – anche se arriva qualcun altro è perché a ben guardare c’erano dei problemi a monte…»

«Ma quali problemi a monte! Ma se ti dico che mi mandava le rose!» Ah già. Le mandava le rose. A Rosi. Povera Rosi. Si fosse chiamata Diamante, adesso avrebbe almeno qualcosa da portare al banco dei pegni. Lisa sembra sulle spine. Giochicchia con la fibbia della borsa. Si vede lontano un miglio che vorrebbe alzarsi e andarsene e basta. O forse lo vedo solo io.

Be’, io lo vedrei lontano un miglio.

Perché anch’io sono Una Che Capisce.

D’altro canto, mica puoi fare la ghostwriter, se non sai entrare nella testa della gente e imparare in fretta come diavolo pensa. Non puoi passare la vita a scrivere libri che vengono firmati da altre persone se non ti ci sai immedesimare, in queste altre persone. Se non sai capirle al volo, prendergli le misure in un attimo, e afferrare così bene come ragionano e come si esprimono da saperle imitare in modo che nessun lettore si accorga che il libro l’hai scritto tu e non loro. Non che mi piacciano, queste gite all’interno dei crani degli pseudoscrittori di turno: di solito il contenuto di quei crani non è granché, lasciatemelo dire. Ma a quanto pare quest’empatia del tutto priva di simpatia, se così si può chiamare, mi è sempre venuta naturale, fin da quand’ero piccola, e così ne ho fatto il mio mestiere. Ora, dopo quasi dieci anni che alleno questo mio grottesco talento scrivendo i libri più disparati a nome dei personaggi più strani, entrare nella zucca del prossimo mi viene così spontaneo che mi succede anche quando non vorrei. Tipo adesso.

«Dai, Rosi, smettila di darti il tormento», sussurra alla fine Lisa. «Dani è solo un deficiente, punto. Non…»

«Ma se hai sempre detto che era un bravo ragazzo! Che era una perla rara, perché di ragazzi così bravi ma anche così belli non se ne trovano da nessuna parte! Guarda che me lo ricordo», miagola Rosi. «Non è che adesso perché mi ha mollata e noi siamo amiche dalle medie mi devi dire che è uno stronzo solo per consolarmi, eh. Lo so che a te Dani è sempre piaciuto… Se devo dirtela tutta, ho sempre pensato
che avessi una mezza cotta per lui!»

Lisa ha un attimo di rossore.

Io ho un attimo di esasperazione.

Rosi si tasta il contorno occhi, che è il modo in cui piangono le ragazze col mascara. «Se almeno sapessi cos’è successo», geme. «È che così non riesco proprio a capi…»

«Oh, porcocazzo», sbotto. «È lei. Va bene?» Le due si girano di scatto verso di me. Pazzesco. Hanno veramente vissuto fino a questo istante come se fossero state sole al mondo. Io mi sono trovata a meno di mezzo metro da loro per tutta la durata della conversazione e si stanno stupendo che io le abbia udite.

«È lei» – indico Lisa – «il qualcun altro di cui s’è innamorato questo Dani.» Scusa, Lisa. Niente di personale, a parte il bisogno di liberare il mio padiglione auricolare sinistro dalle vostre ciarle lagnose.

Lisa sussulta, arrossisce, boccheggia, fa tutto quello che fanno le persone colpevoli quando vengono beccate. Rosi guarda prima me e poi Lisa cercando di decidere senza successo dove allocare il suo budget di sconcerto.

Sospiro.

È veramente seccante essere sempre quella che deve dire ad alta voce ciò che un minimo di attenzione in più basterebbe a svelare. Ambasciator non porta pena. Sì, un cazzo.

(Continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it