Covid revolution
Eppure, se guardo fuori, non sembra vero. Le vigne, allevate a Guyot, sono pronte a gemmare, è fiorito di rosa il pesco, i narcisi ondeggiano le loro cuffiette gialle, gli uccellini si inseguono in frenetici corteggiamenti e i caprioli vengono a dormire nel nostro prato: i cacciatori quest’anno non si sono fatti vedere. È una primavera generosa, che promette frutti abbondanti. Vorrei fare l’orto, ho preparato la terra senza girarla, seguendo i consigli del dottor Mercalli, nel rispetto degli organismi che vivono sopra e sotto e la rendono buona e fertile. Ma non posso andare a comprare le patate da mettere nei solchi. Pazienza.
Da due settimane tre miliardi di persone vivono isolate, un miliardo di studenti non va a scuola, i numeri, e le immagini in tivù, sono da apocalisse e non si vede la fine. Per questo guardo fuori. Ho bisogno di bellezza, di storie liete, di successi, di salute. La natura non è mai stata tanto in salute come da quando l’uomo si è ammalato.
Concentro la mia attenzione sulle storie che vedo fuori per far tacere quelle che sento dentro. E la sera, quando ci ritroviamo nel lettone, le racconto a mio marito, che di storie ha sempre fame, come me, ed è così gentile da amare le mie.
Insieme ridiamo, a volte fino alle lacrime, esageratamente, come due bambini stanchi sotto un lenzuolo che ripara dai mostri. Solo così riusciamo ad addormentarci.
È uno dei pochi ricordi che vorrò conservare della nostra quarantena per Covid-19.
Le minilepri
«Gepo, Gepo, svegliati! Sono spariti!»
«Chi è sparito, Selva, cosa dici?»
«Guarda!»
«Orco, che luce! Aspetta, non ci vedo, dammi un attimo… E già e già. E dove sono andati?»
«Ah, non lo so. Non c’è più nessuno.»
«Neanche uno! Credi che potremmo uscire?»
«Aspetterei, Gepo, bisogna fare attenzione, potrebbero tornare.»
«Senti che silenzio!»
«Fa paura, non è normale.»
«Il parco è vuoto.»
«Te l’ho detto, non è normale. Torniamo dentro, Gepo.»
«No, aspetta, è così bello. Guarda che luce, Selva! L’avevi mai vista una luce così?»
«Dove vai? Gepo, non allontanarti, torna qui!»
«Stai tranquilla. Le vedi queste vecchie zampe? Corrono ancora veloce. Se tornano, faccio in tempo a nascondermi, non lo faccio sempre? Non sanno neanche che ci siamo. Non ci hanno mai viste.»
«E vorrei che rimanesse così. Non allontanarti.»
«Selva, guardati intorno: sono andati! Il parco è vuoto. Possiamo andare dove ci pare. Fai un passo, su, fidati, vieni con me.»
«Stammi vicino.»
«Ma sì, sì. Fai un saltello, cara, così. Vedi? Ci siamo solo noi.»
«E le rumorose nel laghetto.»
«Le rumorose nel laghetto ci sono sempre state, Selva, loro non hanno paura come noi.»
«Perché loro non le mangiano!»
«Ah, non ci giurerei, quelli mangiano chiunque.»
«Cosa si muove laggiù? Oh, no, lo sapevo, sono tornati! Scappiamo!»
«Ferma, stupidina, non lo vedi chi è? Guardalo bene.»
«Lo spinuto?»
«È lui.»
«Qualcuno deve averlo spaventato, Gepo, ascoltami, non dovrebbe essere in giro a quest’ora, lui è un notturno.»
«Era un notturno, cara, perché di giorno c’erano loro. Ora che non ci sono più, se ne esce alla luce del sole, che è molto più pratico. Senti? Anche i melodiosi, adesso che c’è silenzio, cantano di giorno.»
«Poverini, obbligati a cantare di notte come i mangiatopi per corteggiare le loro femmine. È una vergogna!»
«Lo era, cara, lo era. Ah! Ah! Adesso è finita. Siamo libere, Selva, libere di vivere, di essere noi stesse, di respirare! Annusa, Selva, fai un bel respiro profondo… Aaaah, che meraviglia!»
«Tu ti fidi troppo, Gepo. E se ci fosse un veleno nell’aria, che noi non sentiamo?»
«Allora è un veleno dolcissimo. Avevi mai sentito l’odore dei fiori, amore mio?»
«Potrebbero essere morti dopo aver respirato quest’aria buona come stai facendo tu.»
«Li vedremmo stramazzati a terra, tesoro, sarebbero sparpagliati dappertutto, erano milioni! Invece non ce n’è neanche uno. Se ne sono andati, cara, estinti! Per sempre! Sorridi a questa nuova, meravigliosa vita che si prospetta.»
«Chi ti dice che non torneranno? Eh, Gepo? Che non invaderanno di nuovo ogni spazio, che non ci daranno di nuovo la caccia, che non riempiranno di nuovo l’aria con il loro puzzolente fumo nero, che ci fa tossire e uccide i nostri piccoli, che non dovremo tornare a vivere nell’oscurità, con la paura che attanaglia la gola e ci irrigidisce gli arti? Oh, Gepo, vorrei che tu avessi ragione, ma mi sembra così inverosimile.»
«Non torneranno, cara. Ai nostri cuccioli potrai insegnare a correre e saltare per questi verdissimi prati, a mangiare i fiori più dolci e l’erba più nutriente. Non cresceranno come noi. Loro saranno liberi e felici.»
«Aaah! Sono tornati!»
«Dove? Dove? È uno solo, uno solo, Selva! Uno possiamo affrontarlo! Presto si estinguerà anche lui. È condannato, non lo vedi? Torna qui, Selva, guarda, se ne va.»
«Ne arriveranno altri, vedrai! È tutto sarà come prima, Gepo, sempre lo stesso incubo!»
«Ma no, no, non piangere, tesoro. Li sentiremmo! Ascolta… Lo senti che silenzio c’è? Vieni, facciamo due passi. Arriviamo fino agli alberi.»
«Solo fino agli alberi, Gepo Poi torniamo.»
«Va bene, Selva.»
«Se domani è come oggi, allora andremo un po’ più lontano.»
«Come vuoi tu, cara.»
«Non sei arrabbiato con me?»
«Io? E perché dovrei essere arrabbiato?»
«Magari vorresti farti una corsa, esplorare il parco…»
«Sei l’amore mio, Selva, faccio volentieri quello che ti rende felice.»
«Grazie, Gepo. Oh, guarda, sono usciti anche Gemma e Nio. E là ci sono Sammy e Basilico.»
«Sì, Selva, nel parco sono tornate le minilepri.»
«E le rumorose, gli spinosi, i lunghicode, i melodiosi…»
«Siamo salvi, Selva. L’incubo è finito.»
I piccioni
«Dove diavolo sono finiti? Oh, questa poi è bella davvero! Ligi, vieni a vedere.»
«Che c’è? Oh, cribbio! Che razza di bomba…»
«Ma no, no, niente bomba. Hai sentito un bum, tu?»
«Non c’è stato un bum.»
«No, no, infatti, niente bum.»
«E allora, dove sono andati?»
«E che ne so, è un mistero. Son scomparsi.»
«Tutti?»
«Tutti.»
«Bah, che roba strana. E adesso?»
«Ah, non lo so.»
«Gigio, Ligi, avete visto che stranezza? La città si è svuotata.»
«Oh, Steve. Ne stavamo parlando ora. Ma è così dappertutto?»
«Dappertutto!»
«Anche sul sagrato?»
«Vuoto. De-ser-to!»
«E in centro?»
«Nessuno!»
«Ma dai, non è possibile.»
«Se vi dico che è così! Ne vengo ora, l’ho ben visto. Ero davanti al Garibaldi ad aspettare i gruppi del mattino e invece me ne torno a pancia vuota.»
«Io non capisco.»
«Gigio, guarda, arriva la Lula.»
«Ragazzi, che succede?»
«Dillo tu a noi, Lula. Da dove vieni?»
«Dal parco.»
«E…?»
«È vuoto. Non c’è nessuno.»
«Oh, poveretti noi. Volando fin qui non hai visto…»
«Neanche uno, Gigio, neanche uno! Dove credi siano andati tutti? Io ho fame.»
«Arriva il Nini con gli amici, forse loro…»
«No, macché, Gigio, non c’è nessuno. Le strade sono vuote.»
«Sono spariti tutti.»
«Volatilizzati!»
«Anche i bar sono chiusi.»
«E i ristoranti?»
«Chiusi.»
«Le scuole?»
«Chiuse.»
«Gli asili?»
«Chiusi anche quelli, e lì, sì, che c’era un bel mangiare…»
«Picnic!»
«Non c’è nessuno al parco, te l’ho detto, Gigio. A parte le minilepri: ce ne sono a decine. Sa il cielo da dove vengono.»
«Fortunate loro che mangiano l’erba.»
«Purtroppo, per noi, non fanno briciole.»
«E quelle palline nere che lasciano dietro, a mucchietti?»
«Lascia perdere, è cacca.»
«Nel senso che fa schifo?»
«Nel senso che è cacca, Steve, la loro cacca.»
«Ah.»
«Quindi, che si mangia, Gigio?»
«Non lo so, ragazzi. Non c’è anima viva in tutta la città.»
«Oddio, siamo morti! È la fine! La fine dei piccioni! Poveri noi… Cos’è quella? Una briciola?»
«Mia!»
«L’ho vista prima io!»
«Scansati!»
«Io! Io! Io!»
«È mia!»
«Sparite!»
«Vattene!»
«Mia! Mia! Mia!»
«Ti becco il cervello se ci provi!»
«Basta, amici, basta! Calmiamoci! Non è una briciola, è il retro di una Bic, non lo vedete che è di plastica ed è blu? Così non andiamo da nessuna parte! Calmiamoci, per favore. Tornate in voi. Oooh, bravi.»
«Glrlglrlr.»
«Cos’è stato?»
«La mia pancia. Gorgoglia dalla fame, Gigio.»
«Bene, allora torneremo alla natura.»
«Che cos’è?»
«Non lo so.»
«Mai sentita.»
«Naturché?»
«Natura. Torneremo a mangiare quello che la natura ci offre.»
«Sarà un ristorante che conosce Gigio.»
«Ma se sono tutti chiusi!»
«Boh.»
«Seguitemi, amici.»
«Dove andiamo, Gigio?»
«Al parco.»
«Ma non ci senti? Ti ho detto che…»
«Ssst, venite.»
«Quante minilepri!»
«Quelle due, guarda come saltellano!»
«Cos’avranno da essere felici?»
«Secondo me hanno perso il senno, come succederà anche a noi tra poco.»
«Allora, amici cari, vi ho portati al parco perché da oggi impareremo a nutrirci come facevano i nostri antenati e come fanno tutt’ora i nostri pari selvatici.»
«Se magnano le minilepri?»
«No, Ludo, “se magnano” i frutti della terra. Quelle, per esempio: sono bacche di edera, Hedera helix, molto nutrienti.»
«Quelle quali, Gigio? Non le vedo.»
«Devi guardare tra le foglie, Lula.»
«Le pallette nere?»
«Esatto.»
«Ohè! Stai scherzando!»
«No, provale. Fate come me, ne staccate una col becco, così, e… Uhm, squisita!»
«Io torno in centro a vedere se hanno aperto un ristorante.»
«Vengo con te.»
«Ma no, no! Fermi! Dove andate? Dobbiamo imparare, amici, è solo questione di riabituarsi.»
«Gigio, ma tu ce l’hai presente la pizza di Antonio in piazza Cavour?»
«E quella di Samir in via Pascoli? ’Nu babbà!»
«Al “Cosa bevi?” fanno un nuovo aperitivo da staccarsi la testa!»
«Uh, l’ho provato: fantastico!»
«Il chiosco del Vagabondo? Ne vogliamo parlare?»
«No, quello, vabbè, dai, hai vinto.»
«E tu vorresti farci mangiare le pallette? Oh, Gigio!»
«C’è un’alternativa? Perché se c’è, io sarei il primo a esserne felice.»
«Andiamo a bussare alle finestre. Metteranno fuori le briciole. Magari non tutti, ma…»
«Sì, ottima idea!»
«C’ho già provato.»
«E…?»
«M’hanno spruzzato la coda con l’alcol.»
«Urca!»
«Credetemi, amici, tornare alla natura è la nostra unica salvezza.»
«Ma non potremmo cominciare con qualcosa di più gradevole, Gigio? Quelle pallette nere mi ricordano…»
«Semi! Anche i semi sono molto nutrienti. Prova quelli, Lula.»
«Questi?»
«Sì.»
«Come sono, Lula?»
«Uhm… Hai presente quando, per sbaglio, becchetti un biglietto del tram pensando che sia un pezzo di pane? Ecco, uguale.»
«Sputalo, allora!»
«No, bah, guarda, in fondo poi non è così terribile, sai? Ha un certo retrogusto.»
«Io provo una palletta.»
«Coraggioso.»
«Com’è?»
«Ti dirò, si lascia mangiare. Niente di che, eh, ma il tappino della Bic era peggio.»
«Quelle possiamo, Gigio?»
«Le ghiande, certo! Se vi va, provate anche le gemme, sono dolci e contengono fibra e vitamine. E, vedrete, cari amici, più avanti andremo con la stagione e più il cibo abbonderà e sarà gustoso. Ciliegie selvatiche, more, lamponi…»
«Prova questi, Nini, son buonissimi.»
«Fa’ assaggiare. Ma sai che mi piacciono!»
«Che vi dicevo?! E se ci sposteremo, se avremo il coraggio di lasciare la città, nei campi troveremo i semi dell’avena, i bei semoni grandi dei girasoli, l’ottimo mais, raccolto direttamente dalla pianta, sentite cosa vi dico! Non siete emozionati? Staremo benone e torneremo in forma. Vedrete che fisici! Piccioni padroni del mondo!»
I pesci
«Dove vai, Spido? Fermati! Papà non vuole che ci avviciniamo alla laguna.»
«Non entro, guardo solo.»
«E cosa guardi? Non si vede niente.»
«Oggi si vede, l’acqua è trasparente.»
«Vieni via, Spido, è pericoloso, ti affetteranno.»
«Ma chi? Non ti sei accorta che non c’è nessuno?»
«Spidoooo.»
«Smettila, Onda, non faccio niente di male. Guarda anche tu, è bello.»
«Davvero? E cosa si vede?»
«Oh, un sacco di cose, Onda.»
«Tipo?»
«Be’, sai quella cosa contro cui sono andato a sbattere da piccolo? Era un muro.»
«Un muro?»
«Sì, vieni a vedere. Ci sono dei muri in mezzo al mare e formano dei canali. E in mezzo ai canali ci sono…»
«Le alghe? Non mi piacciono le alghe, Spido. Nascondono i pericoli e… Spido? Spido, aspettami, non nuotare così veloce!»
«Non sono alghe, Onda, non so cosa sono, hanno forme strane, che non somigliano a niente che abbiamo mai visto. Non somigliano a un pesce e nemmeno a una stella marina; non somigliano a una conchiglia o a una medusa o a un polpo o a un riccio o… ups!»
«Che c’è?»
«Qualcuno mi osserva da fuori.»
«Lo sapevo, Spido, immergiamoci, vieni giù!»
«No, aspetta. Ha il collo lungo, dei bei colori sul collo pennuto e gli occhi gialli. Sembra simpatico. Ciao, chi sei tu?»
«Chi sei tu piuttosto? Non ti ho mai visto da queste parti.»
«Sono un avannotto.»
«Un avannotto. E cosa sarebbe?»
«Un piccolo di pesce.»
«Pesci. Ho sentito parlare di voi. Un mio tris-tris-trisavolo raccontava d’avervi visto in gioventù. Si vantava anche d’aver mangiato dalle mani del signor Tiepolo e del Canaletto, ancora sporche di colore. Nessuno gli credeva, naturalmente. E invece… Dunque voi esistete?»
«Sì.»
«E siete commestibili?»
«Non so cosa significhi.»
«Vi si potrebbe mangiare?»
«Spido!»
«Uhm, non saprei. Però ora devo andare, mia sorella mi chiama, papà mio mi cerca, è un caved… uno Squalius squalus, enorme! Arrivederci, signor pincione, è stato un piacere conoscerla.»
«È piccione, caro, non pincione. Se torni, butta fuori la tua bella testolina quel tanto che io possa afferrarla, e troveremo insieme la risposta alla domanda a cui oggi, ahimè, non siamo riusciti a dare risposta.»
«Sì, sì, lo farò, addio!»
«Te l’avevo detto che era pericoloso, scemo d’un pesce!»
«Ah, non esagerare, Onda. Voleva solo fare lo spiritoso.»
«Torniamo a casa adesso?»
«Ancora un momento, voglio seguire questo canale, c’è una bella corrente e… Ahia!»
«Attento, ragazzo! Guarda bene dove vai!»
«Mi scusi, io… Ahi!»
«Attento! Non vedi che vai controcorrente?»
«Uhi! Ohi!»
«Attenzione, ragazzo! Segui il flusso!»
«Il flusso?»
«Aiuto, Spido! Mi portano via!»
«Onda? Onda, dove sei?»
«Qui, in mezzo alla folla! Aiutami, Spido! Mi trascinano lontano!»
«Arrivo, Onda, arrivo!»
«Aiuto, Spido!»
«Eccomi, eccomi!»
«Spidooo!»
«Afferra la mia pinna, Onda!»
«Non ci riesco, non ti vedo!»
«Qui, qui, sono qui!»
«Aiuto, Spido, aiutami!»
«Eccomi, Onda, sono qui. Mi vedi adesso?»
«Cerchiamo di uscire da questo banco.»
«No, è meglio se ci lasciamo trasportare.»
«Ma dove andranno tutti? E da dove arrivano?»
«Non ne ho idea».
«Non mi lasciare, Spido».
«Non ti lascio, Onda. Guarda, laggiù il canale si allarga.»
«Già, è vero. Dove sbucheremo?»
«Non lo so, io… Oooh!»
«Questo è il Canal Grande, una delle più belle vie d’acqua della laguna. E se adesso guardate alla vostra sinistra vedrete le fondamenta più antiche…»
«Siamo finiti in un gruppo di pesci turisti, Onda! E là ce n’è un altro e un altro ancora. La laguna è piena di pesci venuti da tutti i mari del mondo! Tonni, delfini, mante, perfino balene! Ehi, guarda che salti! E che spruzzi! Uuuh! Fico!»
«Faranno una brutta fine, tutti affettati, zac, zac, zac!»
«Ma no, non c’è nessuno, il mare è libero e pulito. Ed è tutto per noi. È bellissimo, Onda!»
Le rondini
«Ci siamo persi.»
«No, che non ci siamo persi.»
«Invece sì. Tu riconosci questo posto?»
«No, ma…»
«Ci siamo persi.»
«Oh, santo cielo, Cecilia, ti dico che non ci siamo persi.»
«Ma perché non vuoi ammetterlo? Al ventunesimo parallelo, quando ti ho detto: “Gira a sinistra, Ron!” tu cos’hai fatto?»
«Ho girato a sinistra.»
«No! Hai girato a destra! È là che abbiamo sbagliato.»
«Aspetta, ora che mi ricordo, quando abbiamo passato il ventunesimo non guidavo io.»
«Oh, sì, che guidavi tu, e hai fatto sbagliare tutte noi!»
«Ohè, siam mica oche! Ognuna qui è libera di fare la strada che preferisce!»
«Ma quando mai? Siamo uno stormo, rimbambito! Uno stormo vola in formazione!»
«Uff, quante storie. E guarda là, si parla di oche… Ciao, Duccio, siete arrivate anche voi?»
«Oh, Ron, è un sollievo vedervi. Fatto buon viaggio?»
«Sì, sì, e voi oche?»
«Stancante, come al solito, e ho un dubbio. Però, ora che vi vedo qui, anche voi…»
«Cecilia è sicura che ci siamo persi.»
«Ecco, è quel che dicevo. Questo posto non mi sembra affatto familiare. Eppure le coordinate sono esatte, insomma, sono quelle da vent’anni!»
«Dillo a lei. Non riesco a farglielo capire. E adesso è là a sobillare la rivolta.»
«Attento, eccola che torna.»
«Le ragazze dicono che a loro va bene fermarsi qui, anche se ci siamo perse. Ciao, Duccio, avete fatto buon viaggio?»
«Sì, grazie, Cecilia, e voi?»
«Buono sì, fino al ventunesimo parallelo! Dora sta bene? Dov’è? Non la vedo.»
«Oh, la conosci, è in giro a esplorare. Dice che un posto così bello non l’ha mai visto. È entusiasta.»
«Visto? Impara, invece di brontolare sempre. Vai a esplorare anche tu, Cecilia, amore. Guarda! Non c’è nessuno in giro, non un rumore, l’aria è tersa e volano milioni di insetti. Siamo in un paradiso.»
«Ron, amore dei miei occhi, forse non ti ricordi che avevamo lasciato un nido bell’e fatto, pronto all’uso, sotto un tetto molto, molto simile a… Uh!»
«Che c’è, cara?»
«Quello sembra il nostro nido.»
«Vedere… Eh, no, no, non sembra, è il nostro nido.»
«Non è possibile, gli somiglia.»
«Na, na, na, è proprio lui. Allora, chi è che s’è perso?»
«Non capisco.»
«Siamo a casa, Ceci, la nostra casa estiva! Avevo ragione io! È inutile che te lo studi di sotto e di sopra, è il nido che abbiamo fatto l’anno scorso! Ih! Ih! Ih! Ciapa lì!»
«Ma smettila, scemo. Va a prendere un po’ di fango e strappati un po’ di quelle inutili penne che ti porti addosso, che il nido ha bisogno di una sistemata.»
«Papà, papà, abbiamo fatto il bagno con la mamma!»
«Sono i tuoi figli, Duccio? Ma quando siete arrivati?»
«Un mese fa, appena in tempo per deporre le uova.»
«Otto belle ovette, vedo, e bravo il nostro Duccio! Qua una pacca sulle spalle, amico mio!»
«Erano undici, Ron, ma non dite niente a Dora, preferisce non ricordarlo, sai…»
«Certo, certo, mi dispiace, coraggio. Oh, ecco, Dora…»
«Ragazzi, che bello rivedervi! Abbiamo fatto un bagno bellissimo nel lago con i bambini. L’acqua è un sogno, non sa di benzina, è limpida e così trasparente che si contano le alghe, a una a una! E i pesciolini, vedeste quanti!»
«Mille pesciolini, papà, mille! Scappavano via di qui e di là mentre io li inseguivo. Uno però mi ha fermato e mi ha chiesto cos’ero. Cosa sono, papà?»
«Sei un’oca selvatica, Dudo.»
«Ah, okay.»
«Non so cosa sia capitato, Ceci, ma questo posto è diventato un vero paradiso. C’è un silenzio, fin innaturale, sai. Siamo andati in giro a piedi con i bambini dal parco alla villa, poi dalla villa fino al porto e giù fino al lago e non abbiamo mai incontrato nessuno. Neanche un cane! Solo un gatto, sì, un gatto c’è, ma non ci guarda neppure. E poi non un battello, una vela, un motore qualsiasi. Il nostro gruppo è entusiasta. Credo che ci fermeremo qui fino ai primi geli, vero, Duccio?»
«Non farmi quegli occhioni da cavedano, Ron, va’ a prendere il fango.»
«Vieni con me, Duccio, lasciamo che Dora convinca Cecilia che siamo arrivati nel posto giusto, mentre noi voliamo alti in questo cielo che non è mai stato così blu.»
IL LIBRO – Il racconto di Elisabetta Gnone è parte dell’antologia ebook Andrà tutto bene (Garzanti), in vendita nei negozi online. L’intero ricavo della vendita dell’ebook (degli autori, dell’editore, del distributore e anche dei principali store online) sarà devoluto all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Fanno parte dell’antologia i racconti di 26 scrittori e scrittrici, che si sono uniti per questo progetto a scopo benefico, creando una raccolta di storie in cui raccontare loro vita al tempo del virus. I racconti portano le firme di Ritanna Armeni, Stefania Auci, Alice Basso, Barbara Bellomo, Gianni Biondillo, Caterina Bonvicini, Federica Bosco, Marco Buticchi, Cristina Caboni, Donato Carrisi, Anna Dalton, Giuseppe Festa, Antonella Frontani, Enrico Galiano, Alessia Gazzola, Elisabetta Gnone, Massimo Gramellini, Jhumpa Lahiri, Florence Noiville, Clara Sánchez, Giada Sundas, Silvia Truzzi, Ilaria Tuti, Hans Tuzzi, Marco Vichi, Andrea Vitali. I testi di Clara Sánchez sonotradotti da Enrica Budetta, i testi di Florence Noiville da Alessandro Mola.
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C’è chi ha voluto parlare delle sue giornate, delle routine consolidate, delle novità che strappano un sorriso. Delle lacrime che non si riescono a fermare ma anche della forza della natura che scioglie il nodo in gola. Di convivenze forzate, come di distanze dalle persone care che sembrano insormontabili. C’è chi racconta di vicini sconosciuti che non lo sono più e del lavoro che cambia nei suoi strumenti ma non nella sua sostanza. Alcuni ammettono l’errore di aver pensato che non poteva essere tutto vero o danno voce agli animali che invece sono felici che sia tutto vero. Altri affidano le riflessioni su questi strani giorni alla voce dei personaggi amatissimi che hanno creato. Tutti sono sicuri che usciremo più consapevoli di quello che è davvero importante e che ci incontreremo, ci abbracceremo e passeggeremo presto tutti insieme. Sono sicuri che la solidarietà sarà il valore che porteremo con noi senza poterne più fare a meno. Tutti loro sono convinti che le parole, i libri, le storie, uniscono. Creano vincoli invisibili che spezzano ogni barriera. Mentre leggiamo non siamo mai soli. E siamo forti. E tutto appare come sarà. Perché andrà tutto bene.
Elisabetta Gnone è nata a Genova, ha studiato a Milano e giovanissima è entrata alla Walt Disney, per la quale ha ideato la serie a fumetti W.I.T.C.H. Scrive libri per l’infanzia, pubblicati da Salani, e grazie alla serie di Fairy Oak e Le storie di Olga di carta è una delle autrici più amate dai ragazzi.
E INTANTO IN FRANCIA… – Il gruppo editoriale francese Editis, proprio ispirandosi all’iniziativa Andrà tutto bene ideata da GeMS, pubblicherà un ebook con 64 testi inediti di altrettanti autori del gruppo, i cui proventi saranno interamente devoluti alla fondazione Hôpitaux de Paris – Hôpitaux de France. Tra gli autori figurano nomi come Raphaëlle Giordano, Françoise Bourdin e Danielle Steel, che hanno voluto dare il loro contributo per sostenere gli operatori sanitari in prima linea contro l’emergenza covid-19. L’antologia, disponibile dal 16 aprile e pubblicata dalla casa editrice 12-21, si intitolerà Des mots par la fenêtre, “Delle parole alla finestra”, e ne faranno parte lettere, poesie, racconti che si ispirano ai principi di libertà, speranza e solidarietà. Per Michèle Benbunan, direttrice generale di Editis, questa iniziativa non è solamente un modo per unirsi allo slancio di solidarietà nei confronti degli operatori sanitari, ma anche un progetto che si augura possa portare speranza ai lettori e accompagnarli in questi giorni difficili.
Fonte: www.illibraio.it