Questo pellegrinaggio, mosso dalla nostalgia eppure mai nostalgico, è anche un viaggio alla riscoperta del mondo e un percorso di purificazione. Iniziatico e sapienziale, certo, con i suoi inferni, i suoi purgatori e i suoi paradisi: ma quest’esperienza estrema conduce immediatamente a una tersa e vibrante percezione della realtà, da cui sgorgano parole nuove, limpide e piene. Parole che sembrano oltrepassare e annullare tutte le precedenti pur trattenendole in sé e ritrovandone prodigiosamente il senso.
Lo sguardo di Simone e dei suoi compagni ci rivela una natura colta in tutta la sua concretezza, quotidiana e terrosa, e in tutte le vibrazioni atmosferiche di un cielo inteso come fattore della terra, come elemento del suo dinamismo. Il Viaggio diventa allora una celebrazione dei sensi che afferrano lo splendore e l’angoscia della realtà, una celebrazione della mente che riesce a cogliere insieme il minuscolo seme che genera la vita e l’insondabile maestà del cosmo, lo scorrere del tempo e la vertigine dell’eternità.
Dalle tavole e dagli affreschi, immagini sacre guidano come visioni un cammino spirituale in cui la fisicità e la trascendenza, la dimensione artistica e quella religiosa trovano il loro equilibrio: la prima sperimentata anche come meditazione e riflessione; l’altra vissuta (o scoperta) in primo luogo nella sacralità dell’esistenza, e riverberata poi nell’architettura del mondo: tanto che la terra e la carne appaiono crudelmente intrise di uno stesso sangue, di uno stesso tormento, eppure illuminate dalla medesima grazia.
Seguendo le orme dell’anziano artista, la tensione lirica si distende quasi nel romanzesco, facendosi insieme epica e metafisica. Nell’altissima densità di significato e di rimandi del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Luzi distilla così la paziente, salda saggezza di chi ha attraversato un intero secolo, trasfigurandola in canto e preghiera.