Be’, succede che una scuola della mia città organizza un incontro con l’Arcigay per parlare di omofobia ai e coi ragazzi. Finalmente! direte voi. Era ora che a scuola si iniziasse ad affrontare sul serio un problema che in Italia registra più di 50 vittime al giorno, 20.000 segnalazioni l’anno di cui quasi 3.200 fra i minori (dati di maggio 2018 riportati dal Messaggero).
Evidentemente, però, non proprio tutti sono d’accordo se la scuola decide di educare i ragazzi al rispetto delle differenze: già, perché alcuni genitori di questo istituto della mia città, cos’hanno deciso di fare? Di non mandare i figli a scuola.
“Si parla di ideologia gender!”, hanno detto.
Il progetto era stato approvato sia in Collegio Docenti che in Consiglio d’Istituto, come sempre si fa quando ci sono questioni così delicate, ma niente: alcuni genitori (e non pochi) hanno detto no.
Ora, la mia posizione si può sintetizzare in poche parole: il fatto che ci sono ancora genitori contro questo tipo di attività è proprio il motivo per cui servono sempre più tali attività. Non solo, la dico fuori dai denti: dovrebbero diventare obbligatorie in tutte le scuole. Sì perché io nelle scuole ci lavoro, e ve lo posso mettere per iscritto quando volete: il problema dell’omofobia c’è, e si fa sentire tutti i giorni.
Nelle parole, nelle offese più o meno velate, negli scherni dipinti come scherzi, “ragazzate”, quando in realtà sono graffi sulle pareti dell’anima, ferite dure da far rimarginare. I miei, poi, così come quelli della scuola in questione, sono proprio nell’età più delicata: quella delle medie, quella in cui la sessualità ti esplode dentro e fuori come una bomba con l’orologeria sfasata, in cui se ti guardi allo specchio non ti riconosci, e se ti guardi dentro rischi di perderti.
Solo noi insegnanti possiamo sapere quanto siano difficili quei mesi e quegli anni, in cui avresti bisogno di qualcuno che ti aiuti ad accettarti per quello che sei, qualsiasi cosa tu sia. Di qualcuno che metta in circolo parole di gentilezza, di comprensione, e non scritte oscene sui muri dei bagni, o bigliettini passati durante l’ora di matematica in cui basta un “X è gay” a far calare la notte dell’onta e della vergogna di sé.
Non è che i prof sono tutti una masnada di pazzi che vogliono inculcare idee strane nei vostri figli. Le idee davvero strane sono quelle di chi è ancora fermo al 1950, di chi non si è reso conto che dove c’è più informazione c’è anche meno paura, meno pregiudizi, meno emarginazione. E da questo punto di vista ve lo posso proprio dire, io che con gli studenti ci parlo tutti i giorni: molti dei nostri ragazzi sono anni luce più avanti dei propri genitori.
L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore molto seguito sui social, da docente ha un motto: «Non ti ascoltano, se tu per primo non li ascolti».
Eppure cadiamo felici (Garzanti), il suo romanzo d’esordio, racconta la storia di una ragazza di nome Gioia che colleziona parole intraducibili e si innamora di Lo che, nascosto dal cappuccio della felpa, gioca da solo a freccette in un bar chiuso. Quando i due giovani si innamorano, Lo sparisce nel nulla e starà a Gioia scoprire cosa è successo…
Il suo secondo romanzo, Tutta la vita che vuoi, vede protagonisti tre adolescenti, che parlano di loro stessi, delle loro paure, delle loro speranze e imparano che per sentirsi vivi c’è solo una cosa da fare: mettersi in gioco, rischiare qualcosa di vero.
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Fonte: www.illibraio.it