Prefazione di Marzio Breda
Faceva ancora il liceo Claudio Magris quando nella Trieste degli anni Cinquanta conobbe Biagio Marin, figura leggendaria di intellettuale e soprattutto poeta luminoso, ammirato dai critici seppure ancora lontano dalla fama nazionale che sentiva di meritare. Il quasi mezzo secolo di età che li separava non impedì lo sbocciare di un’amicizia febbrile, coltivata per quasi trent’anni attraverso incontri e, sempre più frequentemente, lettere. Questi scambi mostrano un rapporto fra allievo e maestro fatto di stima e ammirazione: Marin aveva perso in guerra il figlio Falco, e riversò il suo affetto di padre su Magris, «figlio d’anima»; Magris trovò in Marin il suo modello di libertà. Il carteggio rivela un affetto fortissimo, ma testimonia senza pudori anche di scontri, asprezze e incomprensioni: Marin vorrebbe Magris suo erede esclusivo, pur sapendo che sarà impossibile, e soprattutto gli chiede di aiutarlo a conquistare quel riconoscimento che ancora pare sfuggirgli; Magris, in particolare negli anni della sua formazione e della crescita intellettuale, gli chiede spesso consiglio e conforto, ma non esita a replicare l’eterno dramma del conflitto con il padre quando avverte il peso della personalità e della irruenza di un uomo non a caso chiamato in famiglia «fronte di tempesta». Attraverso pagine ricche di forza e di umanità, Ti devo tanto di ciò che sono disegna così l’inedita autobiografia di due grandi scrittori, l’uno espressione del Diciannovesimo secolo («voce di una generazione maturatasi prima della Grande Guerra, esperta delle crisi ma non incrinata da esse», nelle parole di Magris), l’altro proiettato nelle nevrosi e nelle inquietudini del Novecento.