Introduzione di Ferruccio Masini
Prefazione di Guido Massino
Traduzione di Clara Morena
Al termine di un viaggio «senza fine», l’agrimensore K. giunge nel villaggio ai piedi del castello del conte Westwest, dove è accolto con ostilità e sospetto. La convocazione di K. è probabilmente solo la conseguenza di un errore burocratico: nel villaggio, infatti, i confini, segnati da tempo immemorabile, sono immutabili e nessuno ha bisogno di un agrimensore. Esito estremo dell’arte dello scrittore praghese, il romanzo è la storia degli strenui quanto inutili tentativi del protagonista di avere accesso al castello per sciogliere il mistero della chiamata e legittimare di fronte alla comunità la propria condizione di straniero.
Su una trama relativamente semplice, Kafka intesse una complessa rete di rimandi e costellazioni simboliche che hanno offerto spunto alla critica per innumerevoli interpretazioni. Ma l’eccezionale stratificazione di significati – biografici, religiosi, filosofici – non incrina il magico equilibrio di fiaba che fa del Castello (1922) un’amara allegoria della vita e della perenne vanità degli sforzi umani.
